GIOVANNI GIUDICI, ANDARE IN CINA A PIEDI – MILANO, LEDIZIONI 2017

Nel 1992 Giovanni Giudici (1924-2011), già allora poeta molto noto e pluripremiato, pubblicava presso le Edizioni e/o un volumetto di interventi – brevi saggi, articoli di giornale, appunti, riflessioni – dedicati alla musa da lui più frequentata. “Racconto sulla poesia” è infatti il sottotitolo del libro da poco ripropostoci dalla casa editrice milanese Ledizioni: Andare in Cina a piedi.

In queste pagine Giudici raccontava, con la consueta (sapida e insieme bonaria) ironia, di cui sapeva fare magistralmente uso anche nei versi, le disavventure esistenziali di chi avesse deciso di dedicare la sua vita alla scrittura poetica: la più misconosciuta, marginale, gratuita e povera tra le attività letterarie. Si rivolgeva qui a se stesso, in una autobiografia reinventata ad uso di vicini e lontani, contemporanei e posteri, con una sorta di rievocazione diaristica dei suoi esordi, degli incontri con importanti personalità della cultura, delle difficoltà professionali e familiari in cui si dibatteva nell’esistenza quotidiana. Si rivolgeva anche agli apprendisti poeti, illustrando il labor limae necessario e imprescindibile per chi voglia scrivere: la scintilla inventiva da cui prende avvio una composizione, la strutturazione stilistica, l’uso della rima e del ritmo, il valore della traduzione. Dava indicazioni su come avvicinarsi a un testo poetico, con quali accorgimenti leggerlo, in che modo ampliarne il senso, dove recuperarne gli echi. «Ogni poesia è generalmente offerta al Lettore che è libero di farne ciò che vuole, di usarla e ri-usarla come gli conviene, essendo la lettura di essa un fatto altrettanto privato che la sua scrittura».

Il confronto assiduo, arrovellante, tormentoso con la lingua («miniera dell’esprimibile») e in particolare con la lingua poetica («non è soltanto ciò che significa, ma significa ciò che è»), il fastidio per le approssimazioni e le disinvolture di troppi mestieranti, per gli atteggiamenti istrionici o ieratici di molti sedicenti artisti, venivano sottolineati con un forte richiamo etico al rispetto della parola. Un rispetto che si traduceva quasi in reverenza, al punto da spingersi a sconsigliare formule abusate, ridondanti, eccessive o semplicemente stonate (no ai termini ad effetto, ai sentimenti gridati, alle specificazioni dettagliate, ai troppi avversativi o disgiuntivi; sì all’uso intelligente di litoti, chiasmi, allitterazioni, anastrofi e rime, che esprimono una cura attenta del suono). Con l’umile consapevolezza, però, che nella poesia gli autori sono sempre due: il poeta e la poesia stessa «che probabilmente pre-esiste, nel magmatico profondo della lingua, alla nostra stessa occasione/intenzione di scrittura». Nei versi nati da un’attesa durata magari anni o decenni possono confluire dati remoti e trascurabili, letture e incontri sepolti nella memoria, che improvvisamente si impongono da soli sulla pagina, dopo un viaggio lunghissimo, a volte faticoso, arricchente. Come andare in Cina a piedi.

Se per Giovanni Giudici il rapporto culturale e affettivo con altri poeti (gli amati Saba e Noventa, soprattutto) sono stati fondamentali, vorrei accennare brevemente ai quattro incontri che ho avuto con lui, nei miei lontani anni universitari a Milano. Tre all’Olivetti dove dirigeva il settore pubblicitario: tremante gli avevo sottoposto sia un mio saggio sulle figure femminili nella sua poesia, sia alcune mie composizioni, che lui aveva gentilmente letto e paternamente corretto, accompagnandomi in seguito in una libreria per farmi dono di un volume su Parmenide. Una volta mi aveva invece invitato a casa sua, presentandomi la moglie e i due figli, in occasione di un’intervista per il Quotidiano dei Lavoratori, il cui direttore aveva poi preteso che convertissi il mio riguardoso “lei” nel “tu” che si deve dare a un “compagno”. Negli anni successivi mi fece arrivare tutti i suoi libri, con dedica, addirittura a Zurigo dove mi ero trasferita: a testimonianza di quanto per lui contasse la poesia non solo intellettualmente, ma anche come tramite di conoscenza con la realtà circostante e col prossimo. Cosa che chiunque voglia leggere il volume qui recensito avrà modo di verificare, traendone insegnamenti vitali, privi di qualsiasi supponenza o pedanteria.

 

© Riproduzione riservata       www.sololibri.net/Andare-Cina-piedi-Giudici.html     7 febbraio 2017