ERNST GOMBRICH, ARTE E PROGRESSO – LATERZA, BARI 2008

Ad apertura di questo volume, che raccoglie due conferenze del 1971, Ernst Gombrich scrive : “Oggi la fede nel progresso è in piena crisi”. Bisogna essere sempre “assolutamente moderni”, come raccomandava Rimbaud? Nella scienza, nella tecnica, nella morale e nell’arte? Gombrich afferma coraggiosamente, nell’ultima pagina del testo: “Anche se non possiamo metterci dalla parte della menzogna, abbiamo però il diritto di discutere e di mettere in questione le finalità di un determinato progetto scientifico o di una innovazione tecnica. Ci siamo finalmente resi conto di non essere le marionette passive di una evoluzione inarrestabile e che non è affatto necessario fare qualcosa solo perché esiste la possibilità di farlo. Là dove queste possibilità entrano in conflitto con i nostri valori, dobbiamo essere in grado di dire ‘no’ con tutta tranquillità”. Una conclusione forte, di grande rilievo etico e politico, fatta più di quarant’anni fa, e che mantiene tuttora una sua straordinaria originalità e veemenza. Ovviamente, la necessità di indagare senza conformismi sul significato di progresso ha una sua ricaduta anche nel campo della critica d’arte, più pertinente alla riflessione di Gombrich. Nel suo mirino polemico sono quelle interpretazioni dell’arte (da Vasari a Winkelmann) che indicano come sua essenza il conseguimento della bellezza ideale, in una “crescita organica” che la porterebbe da stadi espressivi più rozzi verso la purezza e l’eleganza della classicità, ottenuta la quale (nell’arte greca del V secolo, o nel Rinascimento italiano) si ricadrebbe nel declino, nella restaurazione o nell’imitazione. Gombrich afferma qualcosa che può parere scontato: “la perfetta bellezza non rappresenta l’unico valore”; opere sublimi possono venire create anche al di fuori dei canoni classici. E’ assurdo pensare l’arte in preda a una “continua smania di superamento”, essendo ogni artista interprete di se stesso e del suo periodo storico.

IBS, 29 maggio 2013