PHILIPPE JULLIAN, IL CIRCO DEL PÈRE LACHAISE – MEDUSA, MILANO 2022

Il circo del Père Lachaise è un elegante volume di schizzi, disegni e caricature commentate dallo stesso geniale illustratore: Philippe Jullian, nato a Bordeaux nel 1919 e morto suicida a Parigi nel 1977. Romanziere, critico d’arte, autore di numerose biografie, collezionista, viaggiatore cosmopolita, fu un esteta decadente, salace animatore dei salotti parigini, e appassionato indagatore di temi omoerotici e sadomasochistici. La sua propensione verso la sensualità e il macabro era attraversata da una feroce vena satirica, rivolta soprattutto all’inconsistente futilità culturale dell’alta borghesia, e all’aristocratica classe politica che ne era l’espressione.

Il volume appena pubblicato dalle edizioni Medusa, uscito in Francia nel 1957, ci accompagna in una sarcastica e crudele passeggiata lungo i vialetti, i sepolcri e gli ossari del Père Lachaise, il cimitero più famoso di Parigi, dove riposano artisti, politici, eroi di guerra, filosofi e insomma il beau monde della cultura e della società internazionale. Un circo di esibizionisti vanitosi, questo camposanto raccontato da Jullian, che di santo ha molto poco: i defunti mantengono gli stessi vizi e le stesse smanie che li abitavano in vita, indossano uguali drappeggi, si muovono con la flemma o il parossismo che li caratterizzava durante la loro esistenza terrena. Di notte si incontrano tra di loro, uscendo dalle tombe, offendendosi e lusingandosi a vicenda; durante il giorno spiano i visitatori dietro le sbarre delle cappelle, o dalle fessure delle tombe di famiglia, soddisfatti se si scoprono rimpianti e lodati, delusi quando si sentono trascurati.

La mappa della necropoli mantiene la topografia della gloriosa capitale, suddivisa in zone che ricalcano la distribuzione demografica degli arrondissement, con i quartieri più emarginati a est (colombari, sepolture provvisorie), e quelli eleganti a ovest. Le sezioni centrali, fiorite e affollate di turisti curiosi, richiamano i grandi e trafficati boulevards, con la vivace offerta di distrazioni ed estrose stravaganze. La varia umanità che Jullian rappresenta con schizzi incisivi e impietosi è composta da famiglie dispotiche, vedove inconsolabili, accademici boriosi, avventuriere, austeri generali, vegliardi incartapecoriti. Ci sono anche gli straccioni, irriguardosi e irridenti la spocchia di chi si vanta dell’immortalità, pur sapendo di essere destinato come tutti all’oblio perenne. I commenti salaci dell’autore chiosano illustrazioni altrettanto, o forse più, mordaci, che raffigurano volti deturpati dal vizio, corpi sfasciati, in un tripudio di carnevalesche oscenità, accompagnate da orchestrine stridule e balli indecorosi.

La convivenza delle mummie livella ogni diseguaglianza: “Deve ricevere nella tomba di famiglia i parenti poveri a cui proibiva il suo salotto”; gli scrittori famosi “sono molto suscettibili e non cessano di stabilire i loro titoli”; rimasto solo e dimenticato, “l’egoista si annoia”, e i suicidi ostentano orgogliosamente lo strumento con cui si sono uccisi. C’è anche il trenino del piacere, che conduce le anime gaudenti al parco delle attrazioni. Sull’intera comunità aleggiano gli spiriti guardoni, quando non vengono evocati da tavolini traballanti in sedute serali di ascetici irrazionalisti.

Teschi, scheletri, orbite incavate, tibie e scapole sporgenti da vesti sontuose o da stracci, sono il perpetuo memento della caducità, del transeunte. Eppure, alcuni perseverano nelle illusioni mondane: (“Le persone di mondo che devono essere salvate dall’oblio tramite Proust si accalcano nel suo palco”), altri non temono il ridicolo delle esibizioni circensi collettive, altri ancora pagano il giusto fio del contrappasso (“Signora attorniata dai bambini che ha preferito non avere”, “Le poetesse rivali in scena, ciascuna obbligata a recitare le poesie della sua nemica, all’unisono”).

Scrive Pasquale Di Palmo nella sua dotta postfazione: “Come una medievale danza macabra che il tempo ha provveduto in parte a cancellare, gli ectoplasmi di Jullian sfilano carichi di tutto il loro retaggio di onorificenze e gioielli, reso ormai patetico quanto il loro aspetto repellente, proiettandosi in un passato che li condanna a ripetere all’infinito azioni prive di valenze oltremondane”. La rassegna del grottesco e della volgarità che l’autore di questo lussureggiante e disperato carosello ci offre, si presenta come uno sberleffo fatto alla morte e alla vita che l’ha preceduta, meritando l’inferno o il purgatorio in cui è precipitata: mai, assolutamente mai, il paradiso.

© Riproduzione riservata             «Gli Stati Generali», 28 marzo 2022