CARL GUSTAV JUNG, IL SIMBOLISMO DELLA MESSA — BOLLATI BORINGHIERI, TORINO 2013
“Dato che il drammatico svolgimento della messa rappresenta la morte, il sacrificio e la resurrezione di un dio (nei quali sono compresi e ai quali partecipano il sacerdote e i fedeli), la sua fenomenologia può certo essere messa in relazione con usi cultuali fondamentalmente simili, anche se primitivi. C’è così il rischio, è vero, che il sentimento trovi sgradevole che si confronti ‘ciò che è piccolo con ciò che è grande’; ma per rendere giustizia alla psiche primitiva debbo sottolineare che il ‘timore sacro’ degli uomini civilizzati non si differenzia essenzialmente da quello dei primitivi, e che il Dio presente e agente nel Mysterium è per entrambi un mistero. Per quanto appariscenti possano essere le differenze esteriori, non si deve perciò trascurare la somiglianza o l’equivalenza del significato” (pag.72). In questo dottissimo e documentatissimo testo del 1942, Carl Gustav Jung si accosta al rito della Messa cristiana con il rispetto quasi sacrale che si deve appunto a un mistero, che è il mistero universale ed antico della trasformazione, dell’elevazione e della spiritualizzazione. In una parola, della salvezza. E lo fa cercando le analogie con i riti magici dei popoli primitivi (il “mangiare dio” degli aztechi ), i miti greci ( lo scorticamento di Marsia o la morte e risurrezione di Attis), i sacrifici animali del mithraismo, le tradizioni rabbiniche, le alchimie dello gnostico Zosimo, o lo studio di abitudini rituali presso tribù bantù contemporanee. E lo fa soprattutto attraverso l’indagine sul simbolismo di cui si serve la celebrazione della messa: pane, vino, acqua, incenso, formule, gesti. Quale sia il substrato psichico che si cela nel momento cruciale della celebrazione eucaristica, è ciò che preme a Jung di dimostrare: “il mistero e il miracolo della trasformazione di Dio che si compie nell’ambito umano, della sua incarnazione e del suo ritorno all’Essere in sé e per sé”.
IBS, 29 gennaio 2014