YASUNARI KAWABATA, LA DANZATRICE DI IZU – ADELPHI, MILANO 2018
Racconto scritto da Yasunari Kawabata nel 1926, La danzatrice di Izu è la storia dell’iniziazione sentimentale di uno studente che, per vincere i suoi “tormenti di ventenne”, si mette in cammino lungo la penisola di Izu. Il suo viaggio autunnale attraverso una natura incontaminata e suggestiva lo segnerà per sempre, convertendolo alla magia della bellezza, ovunque essa si annidi: nel paesaggio, nei gesti, nelle parole altrui, in sentimenti prima sconosciuti.
Una giovane artista girovaga, Kaoru, leggera ed elegante nei movimenti, nelle gambe e nei piedi affusolati, dolce e seduttiva nello sguardo, con un sorriso stupito e candido che le illumina il volto ed emana una totale e fiduciosa ingenuità, diventa per il protagonista il tramite – folgorante e miracoloso – della rivelazione di un nuovo e diverso approccio all’esistenza.
“La danzatrice, che giaceva proprio lì ai miei piedi, arrossì e si coprì il viso con le mani. Divideva il futon con una delle ragazze più grandi. Era ancora truccata dalla sera prima. Le restavano tracce di rosso sulle labbra e intorno agli occhi. Vederla appena svegliata, e così emozionata, mi diede una strana tenerezza. Forse infastidita dalla luce, si girò dall’altra parte, quindi, con le mani sempre sul viso, scivolò fuori dal futon e si sedette sul pavimento del corridoio. «Grazie per ieri sera» disse, poi si inchinò con delicatezza verso di me, che ero ancora in piedi, confondendomi”.
Il ragazzo, incantato dalla visione della leggadria di lei, la segue nel peregrinare della compagnia di danzatori ambulanti lungo sentieri di montagna, sotto la pioggia che imbianca i boschi di cipressi, i torrenti, il profilo del mare all’orizzonte; si ferma con i suoi compagni d’arte nelle locande e nei teatri improvvisati dei villaggi, partecipa ai loro giochi serali o legge ad alta voce un libro per intrattenerli prima del sonno notturno. Sempre sperando di potersi accompagnare a Kaoru, accontentandosi tuttavia anche solo di uno sguardo di lei. Infine, durante una sosta in una stazione termale, la scopre mentre tutta nuda si tuffa con gioia infantile nell’acqua, avvolta dal vapore caldo, rivelando nella fragile figura la sua reale essenza di bambina.
Il distacco inevitabile, per il giovane che deve tornare alla sua scuola di Tokyo, avviene in una umida mattina davanti al molo dove lo aspetta la nave che lo riporterà in città: la ragazza, accovacciata in silenzio sulla banchina e volgendo gli occhi altrove, si limita a sventolare un fazzoletto bianco in direzione di lui, che imbarcatosi, non riesce a trattenere le lacrime: “Mi sono appena separato da una persona… La mia mente era diventata acqua limpida che colava goccia a goccia, lasciandomi alla fine solo la dolce, piacevole sensazione che non restasse più nulla”.
Il delicato racconto proposto da Adelphi è il più celebre di Yasunari Kawabata, e tuttora nella penisola di Izu l’immagine dello studente in uniforme e della danzatrice è effigiata ovunque, su cartoline e calendari, sui souvenir, sulle scatole di dolciumi e sulle fiancate dei treni. La danzatrice di Izu riporta anche due famosi saggi che l’autore giapponese scrisse sulla cultura nipponica, elencando i temi più famosi della sua produzione letteraria: il rapporto con la tradizione, la purezza femminile, la solitudine, l’amore e la morte, la spiritualità dell’arte, la ricerca assidua della bellezza. Argomenti che Yukio Mishima citò in una lettera, quando propose Yasunari Kawabata per l’assegnazione del Nobel nel 1968: “In tutti i suoi scritti, dalla giovinezza ai giorni nostri, si ritrova, come un’ossessione, lo stesso tema: quello del contrasto tra la solitudine ineluttabile dell’uomo e l’inalterabile bellezza che si può cogliere in maniera intermittente nelle folgorazioni dell’amore, nello stesso modo in cui una luce può svelare, nel cuore della notte, i rami di un albero in piena fioritura”.