ALFRED KUBIN, DEMONI E VISIONI NOTTURNE – ABSCONDITA, MILANO 2016

Spesso le autobiografie appaiono poco veritiere, più o meno consciamente levigate da chi le ha scritte, con l’obiettivo di rendere più apprezzabili i propri trascorsi esistenziali, le scelte ideologiche, i percorsi artistici o le battaglie politiche. Non fa eccezione il succinto resoconto che nel 1959 Alfred Kubin stese della sua vita, pubblicato da Abscondita nel 2004 e ristampato nel 2016, con il titolo di Demoni e visioni notturne, in cui solo a poche e veniali turbolenze giovanili vengono attribuite l’intemperanza e i conflitti di un’intera vita, trascorsa per lo più con moderata bonomia.

Alfred Kubin (Leitmeritz, Boemia, 1877- Zwickledt, Austria, 1959), tra i più interessanti illustratori del primo ’900, si era ispirato in gioventù alle opere grafiche di O. Redon, J. Ensor, E. Munch, M. Klinger, Goya, e così perfezionatosi nella sua arte aveva poi illustrato la Bibbia, le opere di G. Hauptmann, Dostoevskij, Poe, Gogol’, Hoffmann, Bürger, Kafka, ricavandone grande fama internazionale. I suoi disegni, caratterizzati da tematiche raccapriccianti, manifestavano un gusto quasi maniacale per l’orrido e il misterioso. Il suo mondo onirico aveva trovato felice espressione anche nel romanzo Die andere Seite del 1909 (riproposto da Adelphi nel 2001).

Il racconto di un’infanzia “selvaggia” e dell’adolescenza inquieta, vissute tra Salisburgo e Zell am See, ci rende l’immagine di una mai cancellata sofferenza, determinata sia dal rifiuto di ogni costrizione (la severità del padre, la rigidità dell’istituzione scolastica), sia da una serie di lutti familiari, tra cui la dolorosa morte della madre a lungo malata di tubercolosi, avvenuta quando Alfred aveva solo dieci anni. In quei primi anni formativi affiorarono elementi del suo carattere che sarebbero rimasti come tipici dell’attività artistica: oltre alla passione per il disegno, l’amore per la natura e il paesaggio, un’inclinazione verso il misticismo, l’interesse per le fiabe e il fantastico, la disposizione alla lettura, e una curiosità morbosa per ogni tipo di violenza, di scene agghiaccianti, di cataclismi distruttivi, di decomposizioni corporali. Il temperamento suscettibile segnato da eccitazione nervosa, convulsioni e frequenti deliri febbrili, lo portò a cambiare spesso scuole e impieghi, inducendolo addirittura a un tentativo di suicidio. Fu il trasferimento a Monaco, e l’iscrizione alla locale Accademia di Pittura a fornirgli un solido appiglio emotivo, indicandogli la strada da percorrere per approfondire la sua vocazione artistica. In quegli anni conobbe personalmente De Chirico, Munch, Klee; studiò gli scritti di Schopenhauer e l’opera grafica dei maggiori illustratori dell’epoca; iniziò a esporre i suoi disegni in diverse gallerie, trovando estimatori e clienti, e infine raggiunse una relativa stabilità economica e familiare sposandosi nel 1904. La scoperta della pittura di Bruegel (“miscuglio di pazzia e santità”), i viaggi a Vienna, a Parigi, a Venezia, lo misero in contatto con nuove forme d’arte. Prima dei trent’anni, Kubin acquistò un piccolo podere sulle rive dell’Inn, a Zwickledt, che diventò il suo rifugio fino alla morte: fu in questi anni che compose il romanzo fantastico L’altra parte, e abbracciò un nuovo personalissimo stile artistico: “Ora mia attirava di più la vita universale, che opera così misteriosamente negli uomini, negli animali, nelle piante, in ogni pietra, in ogni cosa animata e inanimata. Erano ancora masse umane e greggi di animali, splendore e marciume, il vizio rigoglioso e la nauseante putrefazione, il culto del sublime e il dolore incomposto. Insomma tutto ciò che da sempre aveva occupato il mio cuore…”. I sogni, gli incubi, le fantasie più deliranti divennero per lui una miniera di ispirazione per le sue opere grafiche, pubblicate in raccolte divenute celebri (Serie dei sogni, Sette peccati mortali, Danza dei morti, Animali feroci, Notte di brina). Nemmeno la conversione al buddhismo, e una regola di vita spartana, lontana dalle angosce del mondo – allora precipitato nella catastrofe della prima guerra mondiale – riuscirono a rasserenare il suo umore: le allucinazioni visive e sonore che lo tormentavano prendevano corpo nei suoi disegni febbrili, di cui il volume pubblicato da Abscondita rende puntale testimonianza attraverso la riproduzione di scheletri, belve sanguinarie, fantasmi, battaglie, agonie. “Tutti questi oggetti mi venivano incontro come spettri e larve che mi ghignassero in faccia”, Nonostante le tante difficoltà incontrate nell’esistenza, e i demoni interiori che avevano assediato i suoi giorni a partire dall’infanzia, Alfred Kubin rimase convinto che il significato dell’arte fosse quello di coprire come un velo “l’assurdo nonsenso della vita”, e che nel tumulto abissale della coscienza la creazione potesse diffondere uno spiraglio di luce. Nella postfazione, Giacomo Debenedetti così commenta la sua opera: “Kubin, attraverso tutti i suoi disegni, le sue tempere, le sue illustrazioni, finisce in realtà coll’illustrare un solo, inquietissimo testo: la storia di una generazione destinata a scontrarsi, in un misto di atavico terrore e di inaudita lucidità, col caos, i mostri, le rivelazioni informi o sublimi della psiche… La sua breve autobiografia è la goticheggiante e paurosamente moderna confessione psichica di un figlio del tempo che trapassa verso l’era cosmica”.

 

© Riproduzione riservata       «SoloLibri», 19 marzo 2025