I
Dovrebbe essere contenta che
la spolvero, la sposto a centimetri,
la porto in giro per la stanza:
lei che non ha piedi, non ha mani.
Dovrebbe fare un cenno col capo,
mostrarmi che gradisce. Invece
chiara nei suoi occhi di vetro
mi rimprovera i passi la voce,
di me che posso.
II
A volte facciamo che io sto ferma
come un’istantanea appesa alla parete;
lei si muove, lava i pavimenti,
accarezza la mia bambina.
Fa come se fosse me (io che per tanto
ho ripetuto i suoi gesti).
Quando è stanca torna al suo posto,
mi lascia capire che per oggi basta.
III
Non può difendersi, né sottrarsi
agli occhi severi di chi la esamina,
la prende tra le mani come fosse una cosa,
le controlla i denti i capelli.
Sta immobile, costretta all’autodifesa
di chi si finge morto.
Io la guardo solo quando mi chiama,
appoggiandomi addosso lo sguardo
per dirmi vieni a salutarmi.
IV
È come se dicesse
non ci sono, invece c’è: è lì, tutti la vedono:
c’è. Si teme assente dopo che
ha riempito ogni atomo della sua presenza.
«Ma di chi parli? ‒ ironizza
tacendo ‒ di una che non esiste».
Però mi guarda come se
fossi io a non esistere.
In L’appartamento, “Nuovi Poeti Italiani 3”, Einaudi, Torino 1984