FILIPPO LA PORTA, POESIA COME ESPERIENZA – FAZI, ROMA 2013
Un’antologia felicemente sbilanciata, sfrontatamente parziale nelle proposte, anticonvenzionale nei commenti, quella firmata dal critico Filippo La Porta per le edizioni Fazi. Ma si tratta con evidenza di una scelta programmatica, esplicitata già dal titolo: l’autore offre a chi legge, in particolare ai più giovani, un percorso di arricchimento culturale ed emotivo sulla base della sua esperienza di lettore innamorato della poesia, che ha eletto i suoi maestri di vita e di pensiero tra chi ha scritto in versi. I poeti rappresentati appartengono tutti alla storia, essendo morti chi da secoli e chi da anni: poeti ormai considerati “classici”, avvolti da un’aura di condiviso rispetto e ammirazione. Ci si potrebbe interrogare sul motivo di alcune originali inclusioni (Poliziano, Marino, Metastasio e gli spesso snobbati Carducci e Cardarelli), o su ancora più clamorose esclusioni (la linea lombarda, lo sperimentalismo, Luzi, la forse già troppo osannata Marini tra gli italiani; la Dickinson e Rilke tra gli stranieri). Ma La Porta ha inteso proporre i “suoi” poeti, nelle liriche più rappresentative, da Dante alla Szymborska: quelli che ha amato e che gli hanno offerto più stimoli intellettuali e “sentimentali”, e lo ha fatto partendo proprio da se stesso, dai suoi ricordi ginnasiali, dalle musiche ascoltate e dai film visti, dalle esperienze di lotta politica e dai primi timidi tentativi di composizione poetica personale. Non teme, quindi, di esporsi in giudizi anche perentori e poco prudenti su singoli autori, di cui spesso dà definizioni icastiche e memorabili (Tasso: «poeta della vita che dilegua»; D’Annunzio: «professionista dell’ineffabile»; Penna: «poeta fuori della storia… poeta inafferrabile»; Baudelaire: «intrepido maestro di moralità»; Rimbaud «un progenitore di Céline»). Non nasconde nemmeno i suoi dubbi sull’onestà intellettuale e sulla validità letteraria di poeti celebratissimi (Pasolini: «ha provato e riprovato a esprimersi poeticamente… riuscendovi solo a tratti»; Brecht: «una morale un po’ filistea e accomodante»). Da critico indipendente qual è, esibisce festosamente i suoi entusiasmi (Rosselli, Withman, Stevens, Vallejo, Szymborska) e si sbilancia fino a definire Caproni «il poeta italiano più importante della seconda metà del secolo scorso», o a suggerire un paragone tra Keats e i «giovani déracinés» del ’68, e a indicare Carmelo Bene come massimo interprete di Dino Campana. Ma ciò in cui più si manifesta il suo appassionato fervore è nella ribadita ricerca di una definizione estetica ed etica della funzione della scrittura in versi: «La poesia è pedagogia dello sguardo», «la poesia come spazio utopico, ‘antiutilitaristico’, è la posizione più ‘sovversiva’ oggi immaginabile», «non consiste in un linguaggio speciale, anticomunicativo, costitutivamente diverso da quello quotidiano, o in un gergo oscuro, autosufficiente, aggressivamente incomprensibile», «non è tanto spazio dell’irrazionale e dell’orfismo quanto pensiero concentrato, filosofia miniaturizzata»; il suo linguaggio privilegia «la non linearità, la velocità, l’essenzialità»; il suo ruolo è «mescolarsi al proprio tempo, alla contemporaneità, pensare a ciò che nel presente incombe su di noi, alla storia, incontrare le persone comuni». Polemico contro quella «corrente unica, a impronta simbolista» che ha costretto la poesia novecentesca in un conformismo oscuro, elitario e intransitivo, La Porta rivendica una lingua poetica in grado di diventare «conversazione, teatro, apologo, documento, collage, reportage, ritratto»: una lingua capace di sporcarsi, di corrompersi, anche quando si innalza a vertici di contemplazione, immaginazione e spiritualità inauditi. Celebra così la vitalità della poesia «che si oppone al nulla, un surplus immaginativo, percettivo che forza il senso ordinario, desolatamente univoco, delle cose fino a scoprirvi sensi ulteriori e analogie invisibili», e che «scompiglia la nostra idea convenzionale delle cose, che dissolve le divisioni artificiose, che disinnesca strategie e calcoli del potere, e che ci mette in sintonia con un ritmo più ampio, e imperscrutabile, del cosmo». Poesia, quindi, come pacifica ma radicale rivoluzione dell’anima, dello sguardo, dell’esistenza individuale e collettiva.
«L’Immaginazione» n. 280, marzo 2014