FEDERICO GARCÍA LORCA, SONETTI DELL’AMORE OSCURO. SUITES – GARZANTI, MILANO 2017
Chi ama la poesia spagnola, e quella di Federico García Lorca in particolare, non dovrebbe lasciarsi sfuggire questo importante volume edito da Garzanti, che raccoglie i sonetti (custoditi segretamente dalla famiglia e pubblicati per la prima volta in Spagna solo nel 1984) ispirati agli amori omosessuali del poeta, e una scelta di Suites risalenti agli anni Venti.
La fondamentale introduzione scritta da Carlo Bo nel 1975 risulta alla lettura ancora attuale ed esaustiva, nel suo inquadramento storico e letterario dell’opera lorchiana all’interno dei primi quarant’anni del 900, così gravidi di avvenimenti di rilievo per la poesia e la società iberica. Bo sottolinea le varie fasi della produzione in versi di Lorca, da quella giovanile più ingenua e “provinciale”, a quella surrealista seguita al trasferimento a Madrid, alla maturazione politica del periodo newyorkese: in un crescendo di consapevolezza stilistica e culturale, e in un approfondimento dell’intensità lirica, non istintiva, ma meditata, per quanto sempre infiammata da un temperamento vitalistico e gioioso. Lorca fu più personaggio degli altri poeti della sua generazione, già prima della sua fucilazione che lo rese un simbolo della lotta contro la dittatura e per la libertà: concependo la poesia come «spettacolo del mondo», fu anticipatore della poesia impegnata, e nei suoi versi come nel suo teatro volle rappresentare il tutto della vita, dalla passione amorosa e civile all’incanto della natura, dalla rappresentazione di figure memorabili stagliate su un paesaggio altrettanto memorabile, fino al malinconico presagio del distacco e della morte.
I sonetti dell’amore oscuro, scritti tra il 1935 e il 1936, sono solo dodici, e sono, secondo una definizione di Pablo Neruda, di «incredibile bellezza». Già nel 1937 Vicente Aleixandre, tra i primi lettori, così ne parlò: «Prodigio de pasión, de entusiasmo, de felicidad, de tormento, puro y ardiente monumento al amor, en que la primera materia es ya la carne, el corazón, el alma del poeta en trance de destrucción». Ben ne descrive genesi e fattura Mario Socrate nella sua puntuale ed esplicativa prefazione: senza entrare nell’approfondita disamina sintattico-morfologica da lui condotta (evidenziazione di enjambement, metafore, metonimie, anastrofi, apostrofi), possiamo ricavare precise informazioni sulla composizione dell’opera, sulla sua effettiva consistenza e sui progetti del suo autore. Riguardo a tali questioni si susseguirono per molti anni testimonianze e affermazioni arbitrarie, censure e depistamenti più o meno tendenziosi, fino alla tardiva ricognizione degli originali (filologicamente rigorosa), affidata a una commissione ufficiale, e alla loro pubblicazione definitiva nel supplemento letterario del giornale madrileno ABC del 17 marzo 1984. Pubblicazione tardiva dovuta non solo alle beghe tra letterati amici e nemici di Lorca, ma anche alla volontà di “neutralizzare, riassorbire lo «scandalo» di quei testi, di difendere il poeta da sé stesso”, garantendone la rassicurante rispettabilità.
D’altronde, lo stesso Federico, nell’ultima intervista rilasciata, si era detto convinto che «los libros de poesía se van haciendo siempre lentamente», suggerendo così il suo desiderio di rimandare l’edizione della raccolta, al fine di assemblare un volume di sonetti più organico e completo, che magari ricalcasse l’esempio illustre dei cento sonetti shakespeariani. Proprio sulla scelta lorchiana della forma sonetto, elaborato nello schema canonico abba abba cdc dcd, Socrate si sofferma indicando l’intenzione esplicita del poeta di frenare l’empito del sentimento in una stringente armatura, collegandosi così alla più antica tradizione ispanica (Lope, Góngora, Quevedo), ripresa nel ’900 da Alberti, Diego, Hernández, Guillén, Darío, Unamuno, Jiménez, Machado.
L’insegnamento di Shakespeare rimane comunque innegabile sia nella stessa tensione esistente tra un io e un tu che esclude presenze terze, sia nella riproposizione dei «motivi della sudditanza e della prigionia (XXVI, LVII, LVIII, XCII); delle notti desolate (XXVIII, LXI); delle accorate rimostranze (XXXIV, LXXXVIII, LXI, CX); della disparità dell’età, simboleggiata con le stagioni (XXXVIII, LXIII, LXIV, XCVII); della reciproca identificazione, così frequenti; e infine, quelli, anche se su piani differenti, della pericolosità di un tale rapporto». Vediamone alcuni: «Godi il paesaggio della mia ferita, / nuovo, spezza ruscelli esili e giunchi, / e da cosce di miele il sangue a sorsi // bevi, ma presto, ché così congiunti, / bocca rotta d’amore, anima morsa, / ci trovi il tempo te e me consunti»; «Se mai sei tu il mio tesoro occulto, / se la mia croce, la mia intrisa pena, / se il cane sono io del tuo dominio, // fa’ che non perda quello che ho raggiunto, / e le acque del tuo fiume pavesa / con foglie dell’autunno mio in delirio»; «Questo sangue di lacrime che illustra / inerte lira, torcia senza presa. / Questo urto del mare e la sua frusta. / Questo scorpione entro di me in attesa»; «Tu con parole quest’insania cura, / sennò lasciami alla mia serena notte / dell’anima per sempre oscura»; «Così la notte e il giorno il cuore mio / nel buio carcere amoroso piange, / cieco di te, la sua melanconia»; «Su per la notte io e te, la luna piena, / tu che ridevi, io a piangere mi misi. / Un dio era il tuo sprezzo, ed i sospiri / miei colombe e attimi in catene»; «Tu continua il tuo sonno, vita mia. / Senti il mio rotto sangue nei violini? / Ma in agguato ci aspettano per via».
Altro argomento su cui insiste la prefazione di Mario Socrate è la scelta del titolo di questa corona di poesie, con quell’aggettivo che rimanda al nascondimento, al timore, al buio in cui è costretto un eros diverso. In effetti, non possiamo sapere se sia stato voluto da Lorca stesso (per quanto sia presente in alcuni versi dei sonetti: «Ay voz secreta del amor oscuro») e se sarebbe rimasto quello definitivo se non ci fosse stata la tragica fine del poeta nell’agosto del ’36. Sembra comunque un titolo adeguato alla raccolta, poiché allusivo in primo luogo alla sofferenza procurata dall’amore descritto, e introiettata da Federico, e secondariamente all’idea di segretezza e frustrazione in cui tale sentimento sopravviveva ‒ insidiato da pregiudizi e sospetti, offese e persecuzione ‒, pur nell’orgogliosa e quasi oppositiva rivendicazione del proprio diritto a esistere.
Composti alla vigilia di una tragedia collettiva, destinati a una lunga ed enigmatica clandestinità editoriale, i Sonetos, bruscamente interrotti dalla crudele esecuzione di Lorca (il suo cadavere non fu mai ritrovato), sono la testimonianza di una tragedia privata, di una sofferenza sentimentale che si trasmette al mondo «con accenti di sconfitta e di eversione in un momento generale di storica agonia». Il volume garzantiano (corredato da un’attenta ricostruzione biografica e da una ricca bibliografia di Glauco Felici) presenta anche una scelta di Suites, scritte tra il 1920 e il 1923 e mai pubblicate nella loro interezza durante la vita del poeta, che non era del tutto convinto del loro valore. Esse si offrono ai nostri occhi con una fisionomia piuttosto rapsodica, musicalmente oscillante tra un’incantata ingenuità giovanile e un turbamento emotivo che prelude agli esiti della produzione matura.
«Il Pickwick», 20 settembre 2018