BRUNO LUGANO, NEL ROVESCIO DEL PERDONO – MARCO SAYA, MILANO 2015
Fedele al suo proposito di pubblicare poeti lontani dai circuiti letterari collaudati e tradizionali, l’editore milanese Marco Saya propone ai lettori questo volume di versi di Bruno Lugano, un anziano signore nato a Viareggio negli anni di guerra, e vissuto a lungo in Australia facendo “di tutto”. Un’infanzia difficile, tra affidi e orfanatrofi, con un padre sparito e non rimpianto, una giovane madre ripudiata dalla famiglia, teneramente amata e celebrata «come un cucciolo di innocenza», Bruno Lugano descrive se stesso in poche frasi, incisive e impietose: «nervi fragili e presunzione divina…malgrado parli sempre di me, di me non saprei dire granché». In effetti, la sua scrittura non potrebbe essere propriamente definita autobiografica: l’autore racconta della sua vita cose comuni a tutti gli esseri umani (emozioni e desideri, rimpianti e nostalgie, speranze e delusioni), e lo fa appunto sentendosi portavoce di un sentire collettivo, per nulla elitario o privilegiato. E sempre cerca un terreno di condivisione con chi lo legge, una comunicazione diretta e partecipe:
«Chiunque fossi io non mi fiderei di me / ve lo garantisco io che mi sono perso in ogni debolezza / che mi sfiorava appena», «No scusate ora devo cercare un tappeto di petali dove / lasciarmi cadere», «Non fateci caso se mi viene da piangere in questi casi / a me viene di non farci caso», «Non so se anche voi sentite come me la chiarezza che si / scioglie nel semplice calore».
Non c’è nessuna scaltrezza formale nei suoi enjambements originalissimi e spiazzanti: solo l’urgenza di seguire un pensiero e il bisogno impellente di manifestarlo, con «un ritmo ossessivo e un verso ipertrofico», come suggerisce Antonio Bux nella postfazione. Alla poesia Bruno Lugano affida un compito di salvezza dalla banalità del quotidiano, quasi fosse un viatico capace di accompagnare all’unica verità raggiungibile: «E’ indispensabile per me mettere le parole / nelle mie piaghe / curare le piaghe sempre leggermente diverse del giorno / con parole leggermente diverse». La fede nella parola che guarisce e aiuta a vivere ha qualcosa di religioso e umile, lontano da ogni celebrazione clericale o devota: «Parole lampo / per scrivere con l’ombra di riserva / qualcosa di molto chiaro che non ricordo più», «Il destino della luce è il perdono / lì la luce sta di casa», «Tanto poi tutto quello che manca / dico, tutto quello che manca, / nel momento in cui si infiamma di leggerezza la fede / si trova in abbondanza».
Sono versi travolgenti nella loro spudorata ingenuità, soprattutto in alcuni luminosi incipit: «Mi hai lasciato d’estate, per fortuna!», «Chi vive solo sa come il disordine può fare compagnia», «Provo tutto ciò che prova l’acqua chiara», «Come sono belli i giovani io li sposerei tutti», «Mi mangio il cielo e la terra a cucchiaiate». E perdoniamo volentieri all’autore se gli capita spesso di perdersi in riflessioni filosofeggianti che annacquano la tensione poetica, quando poi qua e là, come quadrifogli insperati in un prato, riusciamo a raccogliere all’interno o alla fine di una composizione altri barlumi di improvvisa bellezza: «quando sei solo vai incontro a un dio da fermo», «anch’io ho capricci di ragno fiero, nella solitudine», «mi sospira oscenamente un male elementare», «vorrei essere un animale con l’anima cristiana», «si comincia tutti dal proprio zero disperato», «Io sentivo la sera venire. / Ho sentito tutto. //…Ho amato tutto, / quello che c’era da amare l’ho amato tutto».
Non sempre i “poeti laureati” di montaliana memoria sanno emozionarci così.
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www.sololibri.net/Nel-rovescio-del-perdono-Bruno.html 22 settembre 2015