GABRIELLA MALETI, PRIMA O POI – GAZEBO, FIRENZE 2014
Gabriella Maleti, scrittrice e fotografa da molti anni residente a Firenze, e fondatrice con Mariella Bettarini delle Edizioni Gazebo, nonché redattrice della rivista L’area di Broca, delinea in questo libro di versi non solo il suo percorso di vita, ma anche tutta la sua personale filosofia, il suo partecipe e solidale sguardo sull’avventura che ogni uomo è chiamato a condividere con il mondo, a partire dalla nascita. Come ben evidenzia nella sua prefazione Mirco Ducceschi, il suo è «Un resoconto poetico che dalla sintesi e dalla presa d’atto del proprio vissuto sa farsi declinazione e variante, sfaccettatura di una negatività che non è bilancio di anni vissuti o a venire ma instabile bilancia dell’esistenza…». Il volume è suddiviso in tre sezioni, di cui dà testimonianza riassuntiva il titolo: c’è un Prima, un Poi, e un conclusivo O. Nel suo Prima, Gabriella ci offre uno spaccato dell’infanzia trascorsa nella pianura modenese: «Sì, tutto è mio e rimane: i pomeriggi sul Panaro, / il viso nell’erba, la solitudine accesa, / i diverbi candidi con gli insetti. / E poi le ragnatele del cesso nella campagna, / le notti come falci e le falci lunari»
Non solo la maledizione della povertà rurale, in cui «Dio taceva. / Solo Cristo si faceva vedere», ma anche l’infelicità più privata che derivava dall’essere nata nell’ «incauta verosimiglianza / di una famiglia, di un’unità rappezzata con saliva», da «incomprensibili genitori», non desiderata e cercata, «poiché vita nasce anche senza volontà di vita». Eppure il ritratto delle sofferenze materne, e della rudezza insensibile «di un uomo, / per caso padre», si tinge con il passare degli anni di un sentimento liberato da ogni rancore, e invece pietoso, clemente: allora versi commoventi vengono dedicati alla morte estranea e lontana di entrambi i genitori, quando la figlia tenta di riavvicinarli in extremis infilando nel taschino del padre, vestito a festa nella bara, una foto della mamma. A questo doloroso e faticoso Prima giovanile, segue un Poi della maturità, vissuta tra Milano e Firenze, con l’affascinante scoperta di un mondo nuovo, ricco di cultura e di incontri vitalizzanti, di una diversa e orgogliosa fisicità, non più costretta in stereotipati ruoli imposti dalla cultura dominante. «Anni di gran bel toscano», in cui l’autrice impara ad amarsi e ad amare, a ribellarsi, a vincere complessi e sensi di colpa («Io non so cosa dovrebbe in me tacere / e cosa parlare»), rifiutando «esecuzioni sommarie, paure», e imparando ad accettare ogni giornata nella sua stupefacente unicità: «Giro nel piccolo cortile, / raccatto foglie, campi, / è il meglio della mia vita». Infine, l’ultima sezione del volume, dedicata a un disgiuntivo O, si radica nelle riflessioni più emotive e approfondite, scandaglianti il mistero del vivere e del morire, del perché di ogni inizio e di ogni fine, nell’esperienza personale e storica, sociale e cosmica. Gabriella Maleti passa quindi dalla tranquilla accettazione del nostro essere transeunti, precari e forse inessenziali nel destino universale («chiusi nella teca/ che ci è data ,/ e non scelta», «Imbroglio. E’ questo il senso, la conclusione.», «Chi sei? Un esempio inconcluso», «ciò che in me viveva non era che / una scarsa prova delle tante»), al rimpianto di non aver saputo godere pienamente di ogni attimo dell’esistenza, insieme alla nostalgia per i momenti belli vissuti, soprattutto a contatto con la natura: fino alla consapevolezza quasi religiosa della propria insostituibile peculiarità («Ma ‘qualcosa’ ci ha definito, sospinto. / No, non penso a me come solo polvere. // E se anche fosse, quello che serve, / ora, qui, / per arrivare decentemente alla polvere / è non credere alla sola polvere.”). Per cui l’invito, la preghiera incessante da rivolgere a tutto e a tutti, diventa quasi un cantico di fraterna letizia francescana: “dite anima, piano, / segnatela a dito: / potenza che non si scrosta, / non perisce, / chiamate anima, / chiamatevi».
«Leggendaria» n.110, marzo 2015