LUCIANO MANICARDI, MEMORIA DEL LIMITE – VITA E PENSIERO, MILANO 2011
Il limite di cui si parla in questo libro sapiente e documentatissimo di Luciano Manicardi è, ovviamente, «il limite invalicabile e ineludibile della condizione umana», la morte. Nel mondo contemporaneo la morte, come la malattia e l’invecchiamento, è divenuta fenomeno da esorcizzare o addirittura negare, usando stratagemmi di rimozione (chi si veste a lutto, oggi? Chi scrive la parola morte nei necrologi? E i funerali vengono trasformati in happenings di celebrata individualizzazione, i corpi igienicamente cremati, le agonie vissute asetticamente e solitariamente negli ospedali…), o demandando alla scienza -nelle sue branche della farmacologia, della biotecnologia, della genetica- il compito faustiano di prolungare la vita indefinitamente, oltre la sua conclusione naturale. Un sogno di immortalità che assolutizza il presente, nella ricerca narcisistica di vivere sempre, e sempre giovani e sani, con la convinzione egoistica della propria insostituibilità. Se nel corso del XX secolo il mondo occidentale ha guadagnato circa trent’anni di speranza di vita alla nascita, l’ha fatto anche a discapito di quella parte del mondo che muore di fame, epidemie, guerre e catastrofi naturali senza possibilità di progettarsi un futuro; se da noi si rincorre il mito della prestanza estetica, della vitalità sessuale, del successo economico fino alla vecchiaia, in un’ assurda negazione del concetto di limite, altrove la morte continua a imperare come livellante ingiustizia. Manicardi, ricordando che in ogni società primitiva esistevano riti e tecniche funerarie, e che da sempre l’umanità ha messo in atto strategie di immortalità (religiose, politiche, generazionali) nel tentativo di vincere la morte, stigmatizza l’ottusità della società postmortale in cui viviamo, sottolineando che l’uomo è molto più che la sua dimensione biologica, e deve pertanto ritrovare la concezione del corpo come relazionalità, «disponibilità a lasciarsi alterare nell’incontro con il prossimo e con il mondo», accettazione del confine, e quindi della fine. Il richiamo conclusivo alla pagine della Scrittura che introducono il concetto di limite come fondamento della condizione umana è un invito a pensare alla resurrezione «non come eliminazione, ma come assunzione della morte», laddove «l’unica eternità umana è quella che può essere dischiusa dall’amore: l’amore all’interno di una vita finita».
«Interstizi & Intersezioni», 29 febbraio 2012