FRANCESCO MARIA MARINO, LA LINGUA NON HA OSSA MA LE ROMPE – TAU, TODI 2024

Due noti docenti universitari, i Monsignori Stefano Guarinelli e Dario Viganò, si sono occupati nel 2014 e nel 2016 della maldicenza come piaga devastante del vivere civile, in due volumi dal titolo molto espressivo: La gente mormora e Il brusio del pettegolo, rispettivamente per le edizioni San Paolo e Dehoniane. Qualche mese fa anche Tau, altra casa editrice cattolica con sede a Todi, ha pubblicato un agile libro di Padre Francesco Maria Marino, dal titolo ancora più esplicito dei due citati: La lingua non ha ossa ma le rompe, e con un sottotitolo più ponderato (I peccati di lingua tra spiritualità e psicologia).

La cultura religiosa si rivela dunque particolarmente sensibile ai vizi della diffamazione e della calunnia, che in più di un’occasione pubblica sono stati stigmatizzati da Papa Francesco, con una severa deplorazione del “terrorismo delle chiacchiere”: «Su questo punto, non c’è posto per le sfumature: se parli male del fratello uccidi il fratello. E, ogni volta che facciamo questo, imitiamo il gesto di Caino, il primo omicida».

Il testo di Padre Marino, dalle finalità esplicitamente ammonitrici, esortative e didattiche, si apre con un interessante excursus storico concernente il trattato del XIII secolo Summa virtutum e vitiorum, composto dal frate domenicano Guglielmo Peraldo, in cui venivano dettagliatamente illustrati, utilizzando numerose citazioni bibliche e patristiche, 24 peccati commessi con la lingua, 18 valide ragioni per evitarli e 8 rimedi per tacitarli per sempre.

Mormorazione e maldicenza sono le prime gravi colpe di cui ci si macchia usando parole ostili nei confronti del prossimo: la prima sussurrata di nascosto, esprimendo giudizi negativi, inventando situazioni false, manipolando o ingigantendo fatti riportati da altri, creando complicità e consenso in chi ascolta e diffonde il sentito dire. La maldicenza è invece un’abitudine più aperta e sfrontata, spesso motivata dalla volontà di contestare l’autorità e le istituzioni, o per provocare l’esclusione e l’eliminazione di un antagonista scomodo.

Entrambi questi vizi sono ricorrenti in tutti i consessi umani: famiglie, scuole, luoghi di lavoro, comunità religiose e non. Riescono ad avvelenare l’ambiente sociale minando le relazioni, creando un clima di sfiducia e di sospetto, distruggendo rapporti coniugali e di amicizia. Esempi di questo uso malevolo della parola si trovano anche nei testi sacri, con la riprovazione espressa sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Il monaco del deserto Arsenio (IV secolo) suggeriva un antidoto a tale pratica di alterazione della verità: fuge, tace, quiesce, raccomandando riservatezza, silenzio e serenità d’animo.

L’attuale perdita di una cultura della conversazione appropriata, amichevole, rispettosa degli altri (nei colloqui personali, sulla stampa e nei programmi televisivi) lascia prevalere la volgarità e l’inutilità dei discorsi, determinati dalla mancanza di ascolto e di attenzione, dalla disaffezione al silenzio, dall’assenza di pensiero critico che conduce l’intervento verbale a uno scollamento dalla realtà, con la predilezione per il messaggio vuoto, di circostanza, o addirittura sfrontato e offensivo. Nei rapporti con gli altri prevalgono il sospetto e il giudizio negativo, la condanna a priori e il rifiuto, spesso indotti da un complesso che può essere sia di saccente superiorità, sia di frustrante inferiorità.

Ma quando il malanimo e la maldicenza arrivano a trasformarsi in calunnia, ecco che odio, invidia e gelosia distruggono la reputazione di singoli individui, di famiglie, di intere collettività. Le parole possono guarire e uccidere. Siamo responsabili di quello che diciamo e di come lo diciamo: «Osservate: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta!» (Gc 3, 3-5), pertanto dobbiamo sorvegliare il nostro parlare, e i sentimenti che lo influenzano: «ciò che esce dalla bocca proviene dal cuore. Questo rende impuro l’uomo. Dal cuore, infatti, provengono propositi malvagi, omicidi, adultèri, impurità, furti, false testimonianze, calunnie» (Mt 15, 18-19).

Ancora Papa Francesco, nell’esortazione apostolica Amoris Laetitia del 2016 ricordava: «La Parola di Dio ci chiede: “Non sparlate gli uni degli altri, fratelli” (Gc 4,11). Soffermarsi a danneggiare l’immagine dell’altro è un modo per rafforzare la propria, per scaricare i rancori e le invidie senza fare caso al danno che causiamo. Molte volte si dimentica che la diffamazione può essere un grande peccato, una seria offesa a Dio, quando colpisce gravemente la buona fama degli altri procurando loro dei danni molto difficili da riparare».

Inoltre, la calunnia può diventare, in un’epoca come la nostra dominata dalla fake news, un’arma diabolica, elaborata dagli interessi di vari centri di potere, attraverso abili tecniche pubblicitarie o sottili operazioni propagandistiche, con il fine di creare non solo un consenso di massa ideologico e culturale, ma addirittura di orientare i valori morali, i gusti e le opinioni delle persone, deprivate del diritto di critica, di verifica e persuase all’obbedienza più facile e conformista.

Le indicazioni cristiane suggerite da Padre Marino per contrastare le falsità della comunicazione hanno alle spalle una tradizione millenaria di raccoglimento interiore: silenzio, canto, digiuno, preghiera. Ed è appunto con una preghiera che l’autore chiude ogni capitolo del libro, fino alle Litanie dell’umiltà riportate in Appendice. Proprio all’umiltà si invita il calunniato, suggerendogli di dominare il desiderio di rivalsa e di vendetta con un uso intelligente dell’umorismo che insegna a demitizzare se stessi e gli altri, e con la generosità del perdono così difficile da mettere in pratica. Senza tuttavia dimenticare che calunnia e diffamazione sono reati iscritti nel nostro Codice Penale (Art. 368 e 595), e che lo stesso Gesù così ammoniva: «Ma io vi dico che di ogni parola infondata gli uomini renderanno conto nel giorno del giudizio; poiché in base alle tue parole sarai giustificato e in base alle tue parole sarai condannato» (Matteo 12,36).

 

© Riproduzione riservata       «La Poesia e lo Spirito», 5 novembre 2024