SERGIO MARZORATI, RITORNO A ZAGABRIA – SELLERIO, PALERMO 1995
Dopo cinquant’anni di assenza, lo scienziato Felix Glavan torna a Zagabria, abbandonata precipitosamente con la famiglia all’epoca delle persecuzioni razziali contro gli ebrei. A richiamarlo in patria, con la promessa di un reinserimento nella sua città natale e di una reintegrazione delle case e dei beni sequestrati dai comunisti, è un giovane funzionario del nuovo stato croato, Stijepan Radic, la cui famiglia aveva conosciuto la famiglia Glavan, mantenendone nel tempo un ricordo ammirato e solidale. Separati dall’età, da esperienze diverse e da funzioni contrastanti (Radic è un giovanotto di grande sensibilità ed entusiastiche letture, Glavan un sessantenne di successo che ha deciso di rimuovere il passato, cancellandone le tracce dalla memoria. Il primo è credente e fiducioso nelle sorti dell’umanità; il secondo è ateo, scettico, privo di affetti), tra di loro si svolge una civilissima e partecipe conversazione nel corso della quale lo scienziato ebreo si arrende ai ricordi: affiorano così facce e mozziconi di frasi in croato, luoghi e sensazioni a lungo soffocate.
Glavan si rivede bambino decenne, brutalmente costretto a interrompere un brano di Haydn studiato al pianoforte per fuggire a Trieste con la famiglia: rivede la nonna fulminata mentre si aggrappa alla rete di confine, e lui e la mamma che ne trascinano il cadavere in terra italiana.
Alla pacata rievocazione della storia straziante di Glavan si contrappongono i luminosi accenni di Radic alla sua esistenza attuale: la giovane moglie, i bambini di cui è orgogliosissimo, il suo impegno nel riscattare un passato collettivo di cui si sente corresponsabile. Per entrambi, dimenticare è impossibile, la memoria diventa condanna. Glavan ricorda la pazzia della madre, preda di ossessioni, di persecuzioni introiettate e oggettivate che non le lasciavano scampo: si colpevolizza per aver ceduto alla necessità di ricoverarla in una clinica psichiatrica, rinunciando – a causa della malattia materna – alla donna che amava. Stabilitosi in Austria, il suo destino di ebreo scampato all’olocausto gli condiziona tutta la vita e perciò di fronte alle insistenze di Radic perché accetti una ricompensa dovuta o meritata da parte dello stato croato, e perché rientri a Zagabria, Glavan dice di no. Un no tranquillo e meditato, consapevole che il passato non si può recuperare: il dolore sofferto è per sempre, irrimediabile, mai giustificato.
Questa storia personale e pubblica, privata e collettiva, ci viene narrata da Sergio Marzorati, autore schivo e parco nelle pubblicazioni quanto elegante ed essenziale nella prosa. Il romanzo è compreso nella collana La memoria dell’editrice Sellerio, e non potrebbe essere altrimenti.
«L’Arena», 24 aprile 1996