PIERRE MICHON, GLI UNDICI ‒ ADELPHI, MILANO 2018

Con il suo romanzo d’esordio Vies minuscules, oggi considerato un classico, Pierre Michon vinse nel 1984 il Prix France Culture, ottenendo in seguito altri prestigiosi riconoscimenti internazionali. Già in questa sua prima opera, che narrava le esistenze di personaggi umili e sconosciuti, l’autore esibiva uno stile forbito e letterariamente controllato, immaginoso e insieme melodiosamente seduttivo, ricco di riferimenti culturali ed eruditi che spaziavano dalla pittura alla musica, dalla storia al folklore.

Utilizzando lo stesso tocco elegante e fastoso, nel 2009 Michon scrisse Les Onze, pubblicato oggi da Adelphi con il titolo Gli undici, nella traduzione di Giuseppe Girimonti Greco. In questo volume, la voce narrante si rivolge a “un signore” immaginario, evocante il lettore universale, per tratteggiare la vicenda umana ed artistica del pittore François-Élie Corentin, nato nel 1730 a Combleux, un borgo nei pressi di Orléans, sulle rive della Loira, allievo di Tiepolo e in seguito collaboratore di David.

La ricostruzione biografica dell’artista è minuziosa: si sofferma sulle sue doti fisiche e caratteriali, sull’ambiente familiare e geografico in cui ebbe a crescere, sull’educazione ricevuta negli anni turbinosi che videro l’Ancien Régime soccombere sotto il giogo feroce del Terrore, durante la Rivoluzione. La prima parte del libro, senz’altro più coinvolgente e formalmente risolta, inquadra il paesaggio naturale e parentale in cui si svolse l’infanzia di Corentin: il nonno materno, ingegnere incaricato di canalizzare la Loira fortificandone gli argini; quello paterno, vinaio arricchitosi col commercio; la delicata e sensibile mamma, presto lasciata sola dall’ambizioso marito desideroso di inseguire la gloria letteraria a Parigi. In questi primi capitoli, Michon delinea un interessante spaccato della società settecentesca di provincia, utilizzando analisi sia psicologiche sia politiche: Freud e Marx per descrivere la dipendenza e la ribellione affettiva del protagonista dalle figure genitoriali, e lo sfruttamento della mano d’opera impiegata nello sterramento del fiume, con un’attenzione empatica per le condizioni subumane in cui viveva la classe lavoratrice. «Ecco, provi un po’ a immaginare quale speranza possa riservare una vita che consiste nel raccogliere fango per metterlo in una gerla, svuotare la gerla in un carretto e ripetere ogni giorno, da mane a sera, un’azione di quella levatura, con il solo miraggio di un pezzo di pane nero, pane di piombo, e sopra a questo un sonno di piombo per digerirlo; e la domenica, la sbornia di piombo».

La ricettività nei riguardi dello sfruttamento del popolo, introduce all’obiettivo che Michon si propone di raggiungere con il suo romanzo: la denuncia del potere, che guida la Storia in un’eterna lotta di sopraffazione e violenza. Il pittore François-Élie Corentin, affermatosi nell’ambiente artistico parigino senza tuttavia raggiungere mai una vera fama, nel gennaio del 1794 viene incaricato da un gruppo di sanculotti di dipingere un quadro di grandi dimensioni, raffigurante gli undici membri del Comitato di salute pubblica, da esporre al Louvre. Il dipinto, ricompensato molto generosamente, dovrà essere ultimato in gran segreto e in tempi brevissimi, e ritrarre con sfarzo gli Undici detentori del potere assoluto negli anni del Grande Terrore. Undici personaggi, in guerra fratricida tra loro e con la società, assetati di sangue e vendetta, presuntuosi e dispotici, mossi da un «compassionevole zelo per gli sventurati» e insieme dall’ambizione folle di rivoluzionare la storia. «Tutti costoro, questi undici, tutti scrittori come le ho già detto, avevano in comune principalmente il fatto di apporre le loro undici sigle in calce ai vari decreti relativi a cannoni, grano, ghigliottina, requisizioni ed esecuzioni».

Gli Undici, responsabili di far «cadere quaranta teste al giorno», vengono quindi ritratti dal pittore in un quadro celebrativo, con Robespierre e i suoi raffigurati in gloria per i posteri: un quadro capolavoro, dipinto con l’intento di attrarre l’ammirazione spaventata dei visitatori del Louvre di fronte all’esibizione sfrontata del dominio egemone della forza. Un quadro che tuttavia non è mai esistito, come non è mai esistito François-Élie Corentin, invenzione superba di Pierre Michon, a indicare quale sia stato da sempre il ruolo oppressivo di chi esercita il potere nella storia dell’umanità. Per questo libro, Michon ha ricevuto il Grand prix du roman de l’Académiefrançaise.

 

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https://www.sololibri.net/Gli-Undici-Michon.html             26 novembre 2018