MARION MULLER-COLARD, COME FUNAMBOLI – QIQAJON, BOSE 2025
Una lunga lettera d’amore (inteso non come passione, ma nel senso più esteso – di benevolenza, premura e delicatezza –, che i greci definivano filìa o agàpe) quella che Marion Muller-Colard indirizza a Jeanne, la figlia neonata di un’amica carissima morta di cancro pochi mesi dopo il parto. Una lettera che si rivela testimonianza di fede, non solo in termini cristiani, bensì di fiducia e apertura verso l’esistenza, così come può venire esperita anche dai laici, dagli agnostici, dagli atei. Marion Muller-Colard (Marsiglia 1978) è teologa protestante e scrittrice. Autrice di numerosi saggi e romanzi, ha fatto parte della Commissione indipendente sugli abusi sessuali nella chiesa e dal 2017 è membro del Comitato consultivo nazionale di etica.
Come funamboli è il titolo con cui le edizioni Qiqajon presentano il testo, a indicare la particolare e vertiginosa condizione umana, in equilibrio perenne tra i due momenti basilari e imprescindibili della vita e della morte. La fune su cui gli acrobati volteggiano, lontani dall’appoggio sicuro del terreno e sospesi nell’alto, privi di una rete di protezione, diventa evidente metafora dello stare umano, costantemente in bilico nei momenti decisivi di ogni scelta, azione, pensiero, sentimento. L’epigrafe di Friedrich Hölderlin, “Dove è il pericolo, cresce /anche ciò che dà salvezza”, bene esprime l’ambivalenza della corda tesa tra minaccia e riparo, rischio e difesa, su cui ciascuno di noi si muove.
A Jeanne, bambina che non avrà vicino la propria madre, che non potrà nemmeno ricordarne il viso e la voce, Muller-Colard non rivolge parole di retorica consolazione, né di impietosita compassione, ma di forza e incoraggiamento, addirittura di composta serenità.
Osservando la foto della puerpera e della piccola appena nata, l’autrice intuisce “il segno d’una vulnerabilità piena e raccolta”, su cui aleggia la luminosità dell’evento miracoloso che le ha viste protagoniste, insieme all’ombra che oscura l’inizio e la fine del loro rapporto.
Nell’arco di un anno, la vita della sua giovane amica era stata attraversata da avvenimenti turbinosi, felici e tragici: un matrimonio intensamente desiderato e festoso, seguito subito dopo dalla diagnosi di un tumore incurabile, e infine la nascita di Jeanne. Dodici mesi in cui il tempo è stato misurato da tutti i protagonisti nella sua profondità, più che nella lunghezza, vissuto e percepito come un susseguirsi di attimi nel presente, mentre il futuro assumeva contorni bui. “Tua madre ha il coraggio di rivolgere la parola all’ignoto. E l’ignoto le risponde”, scrive alla bimba, augurandole la stessa generosa fierezza materna.
Quando non si riesce a fornire una giustificazione a una condanna immeritata, si dovrebbe rinunciare a porsi domande, e accontentarsi di rimanere al livello delle sensazioni, imparare a godere di ogni istante di bellezza, riconoscendo nel proprio essere vulnerabili la possibilità di una risorsa. Rinunciare ai “perché”, preferendo i “come”.
La teologa Isabella Guanzini nella prefazione al volume afferma: “Chi deve presto morire mostra ai vivi come si può vivere: ossia come funamboli amanti della propria incertezza, con lo sguardo dritto, la percezione del proprio corpo fino alle punte delle dita e moltissimo affetto per i vivi che ci sono dati, di tutte le generazioni”.
L’imprevedibilità della sorte che ci aspetta provoca ovviamente timore, ma indica anche una possibilità: l’ignoto presuppone sempre un “forse”, un “poter-essere”, e il confronto con la nostra finitudine apre tuttavia alla grazia di una nascita, di “un’irruzione pugnace e inaspettata della vita”.
Quando Marion Muller-Colard chiedeva all’amica malata come stesse, lei rispondeva “In trasformazione”, oppure “Così è”, riferendosi alla realtà del momento presente che dura senza durata, del kairós (istante) che vince sul chrónos (tempo). E scrivendo alla bambina che avrebbe letto la lettera una volta cresciuta, così conclude: “Tua madre è morta quattro settimane dopo il tuo battesimo, Jeanne… La sua vita è passata nelle nostre, per dirla con le parole di Rilke. È passata nella tua. Questo, lungi dall’incatenarti, ti renda infinitamente libera, Jeanne”.
© Riproduzione riservata «SoloLibri», 29 marzo 2025