MICHELA MURGIA, L’INCONTRO – EINAUDI, TORINO 2012

Michela Murgia torna con questo romanzo alla sua Cabras natale, qui anagrammata in Crabas, «cittadina di novemila anime», che vive «di un respiro comune ritmato dal suono delle campane», in cui l’esistenza, continua «con balsamica noncuranza», in equilibrio tra tradizioni millenarie e ansie di modernità, animata da «una fede popolare in cui malocchio e rosario convivevano senza contraddizione». Qui passa le sue estati il bambino Maurizio, ospite dei nonni che lo accolgono con rustica amorevolezza: alla fine della scuola i genitori, operai in città, confondono il loro unico figlio tra i «ragazzini ossuti e bruni con qualcosa di rapace negli occhi», a giocare sulla strada partecipando di «una comunità infantile sbilenca e provvisoria». «È così’ che si diventa davvero fratelli a Crabas»: condividendo avventure nei campi e in battaglie navali sullo stagno, partecipando alle feste parrocchiali e alle sagre, ascoltando le storie di fantasmi raccontate dai vecchi seduti di sera all’esterno delle case. In paese bisogna fare i conti con il “noi”, poiché «tutti parlavano di sé al plurale con la ronzante fluidità di uno sciame d’api intorno all’alveare». Maurizio impara a intessere relazioni con gli altri, soprattutto vivendo in simbiosi con due amici, Giulio e Franco: con loro scopre il significato della solidarietà, della complicità e poi improvvisamente del tradimento e della separazione, per ritrovare infine il gusto della riconciliazione e della fraternità recuperata. Giochi, scontri, monellerie ruotano intorno alla vecchia chiesa di Santa Maria guidata da Monsignor Marras, cui i tre ragazzi incendiano il cortile e una palma centenaria nel tentativo di eliminare col fuoco una colonia di aggressive pantegane. Qui si anima anche il dissidio con il nuovo, evoluto parroco che inaugura una concorrente chiesa di periferia: polemica che sfocia in una dissacrante e divertente processione tra le due comunità che si fronteggiano a colpi di invocazioni, giaculatorie e rosari pochissimo devoti. Il racconto scorre veloce e pulito, senza particolari originalità lessicali o sintattiche: e lo stile appare addirittura qua e là un po’ inamidato, con i dialoghi tra i ragazzi spesso ingessati in un italiano molto letterario e irreale. Soprattutto la trama, piuttosto debole, non riesce a elevare la narrazione al livello di altre precedenti prove della Murgia.

 

«Leggendaria» n. 97/98, gennaio 2013