DAVIDE NOTA, GLI ORFANI – OEDIPUS, SALERNO 2016
Davide Nota (1981), poeta, critico letterario ed editore marchigiano (suo il marchio Sigismundus di Ascoli Piceno), ha pubblicato presso Oèdipus una raccolta di otto racconti intitolata Gli orfani. Eterogenei per argomento e ambientazione, sono tuttavia accomunati da una ricerca formale assidua ed esibita, obbediente a stilemi ripetuti: l’aggettivazione ricercata e originale, le metafore spiazzanti, una sentenziosità quasi altera.
Solo due racconti rispondono a un certo realismo autobiografico: Il ritorno e Dana. Nel primo, l’autore narra di un suo precario lavoro presso un caseificio nella periferia romana, che gli permetteva – dopo la laurea – di mantenersi decorosamente, dedicandosi nel tempo libero alla passione per la scrittura. Durante questo periodo fu colto da un’illuminazione esistenziale, un’imprevedibile epifania che lo spinse a abbandonare la vecchia “pelle di giovane materialista”, e tutti i suoi precedenti “me”, per esplorare il mistero dell’essere, in
una sorta di cristianesimo anarchico e relativistico… in una strana eccitazione spettrale, a tu per tu nel vuoto con il Dio assente.
Il secondo è una rivisitazione immaginosa degli anni adolescenziali, con le sue musiche, i suoi film e le prime esperienze sessuali, sempre alla ricerca tormentata della propria identità, e nel rifiuto quasi rabbioso di ogni conformismo sociale:
Chi ero io? E loro? Questi pronomi non mi dicevano più niente… Ma aveva ancora senso esprimersi in prima persona singolare? Avevo desideri che non fossero i desideri di tutti? Idee e pensieri che non fossero il risultato di un’intersezione di notifiche e dati? Ganci virtuali avevano per sempre dilaniato la mia unità in brandelli di reazioni automatiche. Sognavo? Credevo ancora in Dio? Avevo una patria?
Il percorso intellettuale intrapreso dall’adolescente si radicalizza in un progressivo disconoscimento e ricusazione della realtà, sempre ammorbante, meschina, corrotta: «La realtà produce ideologie e abbagli; …invidiosi di noi stessi, a noi stessi ostili, ci escludeva dalla realtà la stessa forza con cui ne eravamo risucchiati e sputati mezzo ammattiti da aspettative aberranti…»
Così, «in preda al rifiuto degli eventi terrestri», Davide Nota si immerge in una dimensione surreale, in un mondo fantastico, fluttuante tra epoche lontane: dall’orfismo paganeggiante al misticismo della prima cristianità, dal medioevo dei templari agli spazi siderali di un futuro perso nei silenzi interplanetari. L’immersione panica nella natura predilige poi i boschi, le acque, la nebbia, gli gnomi e i fauni, in un caleidoscopico olismo sapienziale che si espande dall’oriente alle saghe nordiche, da Nietzsche a Star Wars al Signore degli Anelli, in cui tutto è animato e in trasformazione, contemporaneamente nel tempo e fuori dal tempo.
Nella volontà perseguita di disubbidire «all’evidenza presente», anche l’adesione alla fisicità si scinde tra un’aspirazione alla purezza infantile e il degrado di accoppiamenti brutali, e ogni pensiero assume la visionarietà profetica della coscienza immersa nell’energia cosmica:
Quello che noi chiamiamo cielo è forse un precipizio verso l’interno del corpo astrale. Alziamo lo sguardo, guardiamo le stelle ed eccola lì la terra cava e i suoi gironi infernali. Noi abitiamo sull’orlo dell’abisso. Salpare è cadere. La gravità è l’abbraccio di una madre che non vuole perderci. Ma noi aneliamo alla caduta più di ogni altra cosa. Per questo la chiamiamo il volo.
All’originalità dello stile e dei contenuti di questa raccolta talvolta nuoce l’insistenza di un certo didascalismo filosofico, e di un sermoneggiare gnomico che può risultare eccessivo agli occhi del lettore.
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«sololibri», 3 maggio 2016
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