PIERA OPPEZZO, ESERCIZI D’ADDIO – INTERNO POESIA, 2021

Autrice di poesie, testi teatrali, narrativa, traduzioni, Piera Oppezzo (Torino 1934-Milano 2009) ebbe una vita e un destino letterario non facile. Nata da una famiglia di modeste condizioni economiche, si adattò a lavori umili prima di venire assunta dalla Rai a Roma, dove ebbe modo di conoscere intellettuali e artisti che incoraggiarono il suo appassionato affacciarsi al mondo della cultura, appoggiandone le prime pubblicazioni su riviste e con piccole case editrici. A metà anni sessanta si trasferì a Milano, avvicinandosi al femminismo e all’impegno politico. Nel 1966 uscì presso Einaudi una sua raccolta intitolata L’uomo qui presente, che fu ampiamente recensita e apprezzata.

Interno Poesia pubblica ora i suoi versi inediti, Esercizi d’addio, raccolti in ordine cronologico, a cura di Luciano Martinengo, con prefazione di Giovanna Rosadini e postfazione di Gaia Carnevale. Si tratta di poesie scritte tra il 1952 e il 1965, affidate dall’autrice settantacinquenne e malata all’amico Martinengo, al quale si deve la riproposizione della sua opera non solo in una scelta antologica del 2016 (Una lucida disperazione), ma anche attraverso il documentario Il mondo in una stanza, che ne ripercorre affettuosamente l’esistenza privata e l’attività letteraria.

Le poesie di cui ci occupiamo anticipano non tanto lo stile maturo della Oppezzo, più orientato verso la sperimentazione linguistica (per Giovanni Raboni “disadorno e quasi afono”, espressione “dell’appiattimento della parola al suo elementare, irriducibile nucleo gnomico”), quanto la stessa persistente tonalità malinconica, per una consapevolmente accettata e irrisolta sofferenza psicologica, segnata dalla precarietà della vita sentimentale e professionale.

Gelo, paura, luci remote, voci morte, bruma dolente, scarnite mani, pietre fredde, cani randagi, umidi asfalti, sono termini con cui la poetessa ventenne esprimeva la desolazione di una giovinezza ferita da privazioni e incomprensioni familiari, sullo sfondo di un devastante conflitto bellico: “Il ricordo della mia infanzia   /     è guerra. Un motore / nel cielo si avvicina / alla mia testa, i giocattoli diventano mostri. / Aiuto! la mia bambola è stecchita”. Nei “poveri giorni” in cui “Solo le asprezze / si ascolta”, il rimpianto per una serenità negata diventava senso di colpa per l’incapacità di sfuggire alla lugubre atmosfera ambientale: “I morti! I morti!” gridavo. / Ero alla finestra / e non passò nessuno.  //        Il vento sbandava nei miei capelli. / “I morti! I morti!” / Chi venne / e mi sollevò, quasi?  /         Ma io ero pietra, ero gelo o fiamma, / febbre o abbandono, ma non ero ancora… / – Oh, fino a quando? – /       e rimasi”.

In queste prime e acerbe poesie si possono rintracciare formule obsolete e letterariamente abusate, una certa ovvietà descrittiva, ingenui sentimentalismi, ma sempre felicemente riscattati da versi di icastica intensità: “Inutile pregare gli assenti”, “Erano sere di poca luna”, “Tutta la mia speranza  / è nel giorno pieno”. Nelle pagine successive lo stile si fa invece più asciutto, più coraggiosamente innovativo nell’uso meditato di neologismi e costrutti prosastici, di una versificazione franta, quasi elencatoria e priva di punteggiatura, di una sprezzante ironia. Si intuiscono quindi i primi germi della futura ribellione formale e contenutistica, nel coinvolgimento emotivo su argomenti di rilevanza sociale: la solidarietà con gli sfruttati, il rancore verso gli egoismi e l’ignavia del mondo adulto. La voce poetica si fa più scandita: “In casa seggo e fumo. / Ho acceso la radio / e allontanato completamente / le cose di un giorno intero”, “Indossiamo il cappotto senza fare domande / Col buon cappotto / Dimenticheremo le future violenze di stagione /   Con tutti i rischi di allagamento e siccità / Che comporta / La nostra posizione geografica”, “Chi si accorge di ciò che accade? / Neppure giugno arresta le battute di spirito / Il dolce amore per la vita è snervante e imperfetto”.

All’effusione sentimentale della prima produzione si va quindi sostituendo una più ragionata padronanza dei propri mezzi, marcata dalla polemica combattiva contro le ingiustizie, i soprusi e l’alienazione prodotta dalla società contemporanea.

 

© Riproduzione riservata        «L’Indice dei libri del mese», n.7/8, luglio 2021