RANIERI POLESE, PER UN BACIO D’AMOR – ARCHINTO, MILANO 2017
L’interessante e ben documentato volume del giornalista Ranieri Polese su “I baci nella canzone italiana” si conclude con tre interviste al linguista Giuseppe Antonelli, alla saggista ed esperta di fenomeni sociali Marta Boneschi e allo scrittore Federico Moccia: tutti d’accordo nel ritenere che la rilevanza del bacio all’interno dei testi delle nostre canzoni si è andata drasticamente riducendo negli ultimi 20-30 anni, in concomitanza con i mutamenti culturali, sociali e sessuali degli italiani. Solo Moccia pare voler salvare qualche residuo di romanticismo nei rapporti interpersonali attuali: «Il bacio è un gesto molto intimo, forse più dell’atto sessuale completo. Occorre avvicinarsi con delicatezza all’altro, capire i tempi, se c’è accoglienza…».
Che in ogni epoca si diano dei sentimenti e delle loro espressioni corporee diverse interpretazioni e valutazioni è addirittura ovvio; nella storia dell’umanità si è passati da periodi di permissivismo, promiscuità e libertinaggio ad altri di moralismo estremo, oscurantismo, censura. La stessa cosa è avvenuta rispetto al valore dato al bacio e al baciare, nella letteratura e nell’arte figurativa. Per ciò che concerne più strettamente il campo musicale, la ricerca di Ranieri Polese in questo libro edito da Archinto, Per un bacio d’amor, si individua una periodizzazione scandita in decenni, a partire dalla romanza del 1881, Musica proibita, in cui per la prima volta si decantava il bacio. In seguito, fu tra il 1890 e il 1930 che apparvero canzoni fortemente erotiche e sensuali, nei café chantant, nei varietà e nei tabarin di Napoli, Roma e Milano: sciantose dai nomi esotici turbavano i sogni lascivi dei viveurs esibendo peccaminosi piaceri proibiti. Le fantasie dei maschi italiani del primo ‘900 erano animate da formose femmine spagnole o cubane («La spagnola sa amar così / bocca a bocca la notte e il dì», «Straziami, ma di baci saziami»), misteriose orientali sulla scia di Madama Butterfly, o faccette nere del desiderio imperiale, con doppi sensi evidenti o volgarità appena suggerite («Si fa, ma non si dice»).
Con l’avvento del fascismo, la politica del regime impose un ritorno all’ordine, e un richiamo alla pubblica moralità e ai valori familiari: fu il tripudio di mamme, mogliettine fedeli, fidanzate timorose di Dio, e amori casti e malinconici: Parlami d’amore Mariù, Violino tzigano, Portami tante rose, Mille lire al mese, Mamma, Ma l’amore no….Una sorta di controriforma, che dettò un canone di riferimento rimasto in vigore per i successivi quarant’anni: cieli stellati, chiari di luna, fedeltà eterne suggellate dal bacio trionfante (Un’ora sola ti vorrei, Venezia la luna e tu, Ti dirò…), in cui la fisicità veniva smaterializzata in una dissolvenza pudica. Nel 1951, con la nascita di Sanremo, arrivò il trionfo del sentimentalismo, in un paese dalla libertà ritrovata dopo la guerra, e con essa il sogno e la passione, l’abbandono e lo strazio proposti da Claudio Villa, Nilla Pizzi, Betty Curtis, Luciano Tajoli, Achille Togliani, Gino Latilla, Domenico Modugno.
C’erano in effetti anche incursioni ironiche e trasgressive nelle parole di Fred Buscaglione e Renato Carosone, del primo Celentano (Con 24mila baci, Il tuo bacio è come un rock), e di una giovane Mina ribelle: exploit originali ammorbiditi negli anni 60-70 da un repertorio eterogeneo di effusioni appassionate o delicate, romantiche e sfrontate, presentato in numerose manifestazioni canore di successo (Cantagiro, Un disco per l’estate, Canzonissima, Studio Uno). Ma si affacciava l’era del pop, i primi juke-box e i gruppi beat, il filone dei testi impegnati, e i cantautori: l’intensità di Endrigo, Gaber, Lauzi, Paoli, De Andrè, De Gregori e il divertimento balneare di Edoardo Vianello, i neoromantici Morandi, Baglioni e Ranieri, Nicola di Bari e DorellI. Quindi le sensuali Vanoni e Patty Pravo, le rivoltose Nada, Mia Martini, Loredana Berté e Caterina Caselli, gli arrabbiati Cocciante e Venditti. Di baci si cantava ancora… Il primo a mettere il bacio in sordina fu forse Lucio Battisti, con i suoi testi semi-narrativi che parlavano un po’ di tutto. Dopo di lui, labbra bocche e respiri cominciarono a cedere il passo alla sessualità più spinta delle nuove leve (Oxa, Grandi, Nek, Rettore), coerentemente con l’evolversi in senso libertario dei costumi: meno baci e più sesso, meno sentimento e più desiderio fisico.
Il libro di Ranieri Polese ci fa ripercorrere un secolo di storia italiana attraverso le canzoni, che da sempre sono il leit motiv delle coscienze e dei comportamenti individuali e sociali di una nazione: un modo intelligente e spiritoso di riflettere su quello che siamo stati e siamo diventati.
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4 aprile 2017