LAURA PUGNO, LA MENTE PAESAGGIO – PERRONE, ROMA 2010
Tutte le poesie che compongono le cinque sezioni di La mente paesaggio di Laura Pugno sono spezzate in due o tre strofe che lasciano consapevolmente molto spazio al bianco della pagina, quasi a suggerire un’ipotesi di sospensione o silenzio, un invito alla pausa. Che non è mai indicata da punti fermi, inesistenti in tutta la raccolta: ci sono virgole, e soprattutto trattini di separazione, a segnalare una sottolineata divisione tra i versi (a volte brevissimi, di una sola parola; a volte ipermetri, o spesso consegnati all’invocata pacatezza dei settenari o degli endecasillabi).
Sembrano poesie che reclamino una loro ribadita oralità, scritte per essere recitate e offerte a un pubblico, sullo sfondo di una scenografia da documentario naturalistico. Le immagini evocate si susseguono ripetutamente, a confermare l’intenzionalità espressa dal titolo: un’esplorazione del paesaggio, del fuori, dell’ambiente noto o lontano, ma assolutamente controllato dall’attività mentale, concettuale, della poeta. Sono le profondità degli abissi marini, il bianco luminoso dei ghiacciai e delle nevi perenni, il verde intenso dei boschi a colpire l’immaginario del lettore, in panorami che poco tengono conto della figura umana: “è mondo prima del mondo”. Anche presenze animali attraversano queste pagine: volpi, uccelli, pesci, meduse, ostriche che rinserrano perle preziose. Ma il “tu” cui ci si rivolge sembra piuttosto un alter ego dell’autrice, la richiesta di una conferma intellettuale al proprio esistere fisico, fibra universale pensante: “tu-io sei quella che rimane / corpo quasi identico / visibilità estrema del da te / non visto”.
E la domanda che Laura Pugno fa a se stessa e al lettore è quella di un riconoscimento di sé, della sua parola poetica che abita corpo e mente: “balbetta una nuova / lingua nel buio / che avvolge il corpo // ha pochissime parole nel buio // il corpo ora è la coperta / della mente”.
© Riproduzione riservata «sololibri», 9 novembre 2016