MASSIMO RECALCATI, IL GESTO DI CAINO – EINAUDI, TORINO 2020
Caino, uccidendo suo fratello, compie un gesto crudele, privo di pietà, dettato da invidia e risentimento. La Bibbia lo racconta in Genesi 4,9: “Mentre erano in campagna, Caino alzò la mano contro il fratello Abele e lo uccise”. Massimo Recalcati riflette su Il gesto di Caino, lo ripercorre nel suo minuto accadere, e ancor prima, nel suo progettarsi, per poi interpretarlo psicanaliticamente, e offrirci una disamina dei suoi effetti nella storia della cultura ebraico-cristiana.
La tesi postulata in questa indagine è che “nella narrazione biblica l’amore per il prossimo viene dopo l’esperienza originaria dell’odio”, e che tale odio è motivato dal desiderio di distruggere l’Altro –vissuto come limitazione insopportabile –, per raggiungere “un ideale assoluto di autonomia e indipendenza”.
Il fratricidio di Caino è la seconda trasgressione agli ordini divini dopo quella attuata da Adamo ed Eva (il primo peccato è un furto, il secondo un assassinio). Ma appare forse ancora più grave ed eversiva della prima perché esercitata contro il parente più prossimo, contro il proprio sangue. In entrambe le storie narrate da Genesi, quella dei progenitori e quella dei due fratelli, il sentimento prevalente e condizionante è l’invidia: della coppia di sposi per la sapienza e il potere di Dio, di Caino per il fratello colpevole di avergli sottratto il prestigio presso la madre e presso il Signore.
L’invidia è un sentimento rivolto “a chi è come noi, ma ha o è più di noi; è sempre invidia per il simile e non per il diverso. In altre parole, l’invidiato incarna l’ideale inconfessato dell’invidioso… quello che vorremmo essere senza riuscirvi, il nostro ideale irraggiungibile, colui che incarna l’immagine narcisistica di noi stessi”. Ciò che Caino non tollera di Abele è l’intrusione minacciosa nel rapporto edipico e fusionale vissuto con la madre Eva, il fatto di essere stato spodestato dal ruolo di figlio unico e prediletto, non solo dei suoi genitori, ma dell’umanità intera. Il gesto che compie è assolutamente narcisistico, in quanto teso a “coltivare un’immagine grandiosamente ideale di se stesso… La matrice dell’odio invidioso è, infatti, al suo fondo, una passione narcisistica per se stessi, per la propria identità, per il proprio Io”. Ad accrescere il suo risentimento è il fatto che Dio ha riconosciuto nel fratello, e nelle sue offerte sacrificali (carne anziché prodotti della terra, caccia piuttosto che agricoltura), un valore superiore al suo. Deluso dal rifiuto divino, umiliato nella sua esigenza di riconoscimento, Caino trova nel ricorso alla violenza un possibile risarcimento alla propria mortificazione. “La scelta di Dio gli appare un sopruso, un capriccio, un atto prevaricatore. Ma Caino, in realtà, non tollera l’esistenza dell’Altro – la sua alterità – che la scelta di Dio intende invece evocare e portare alla presenza. Tuttavia, anziché cogliere l’atto di Dio come un’occasione di crescita, Caino resta fissato nella rivendicazione dei suoi diritti assoluti, resta prigioniero della sua passione narcisistica”.
Da dove deriva questa volontà di sopprimere ciò che è altro da sé? In fondo Dio, all’atto della creazione, aveva esaltato la molteplicità, la differenziazione peculiare di ogni vivente, affermandone la libertà: a ogni creatura era stato dato un nome, sottolineandone l’identità esclusiva, la distinzione rispetto alla totalità indifferenziata.
Ponendo trasgressione e brutalità all’inizio della narrazione, dopo la generosa bellezza offerta dai primi sette giorni del creato, la Bibbia afferma che è stato l’uomo a portare il male nella storia; la propensione all’odio, alla disubbidienza, all’oltraggio sembra essere una spinta pulsionale primaria e ineliminabile: “La tendenza trasgressiva non è solamente una possibilità della vita umana, ma una sua inclinazione fondamentale”. Essa indica il desiderio di violare il limite imposto dalla Legge per proclamare la propria incondizionata autosufficienza, distruggendo ogni alterità.
La scelta della violenza è determinata dalla volontà di raggiungere il proprio scopo direttamente, “per via breve”, senza passare attraverso una faticosa mediazione con l’Altro: “colpire il prossimo viene prima dell’amore per il prossimo… all’origine della vita, dunque, non è il sentimento di fratellanza, ma la sua distruzione, la sua negazione feroce”. Secondo Freud, “La storia primordiale dell’umanità è piena di assassinii. Ancor oggi quella che i nostri figli imparano a scuola come storia universale non è in realtà altro che una lunga serie di uccisioni fra i popoli… Anche noi, considerati in base ai nostri moti di desiderio, altro non siamo, come gli uomini primordiali, che una masnada di assassini”.
Colpendo il fratello, Caino ha finito per colpire se stesso, poiché non essendo in grado di esperire l’alterità e di accettarne l’esistenza, ammette la propria incompiutezza e inferiorità. Nell’odio verso Abele, rende l’immagine di lui ulteriormente ideale e irraggiungibile: solo uccidendolo può tentare di ridurre lo scarto tra ciò che sa di essere e ciò che aspirerebbe a essere.
Solamente dopo l’omicidio Caino potrà intraprendere un percorso di recupero e salvezza. Quando Dio gli chiede conto del suo delitto, dapprima lo nega (“Non lo so. Sono forse il custode di mio fratello?”), quindi lo riconosce come crimine inscusabile (“Troppo grande è la mia colpa per ottenere perdono!”). La maledizione divina lo costringerà a vagare “ramingo e fuggiasco”, a lavorare con fatica una terra arida e infruttuosa, marchiato con un segno che pur rendendolo eternamente riconoscibile in quanto assassino, ne impedirà l’uccisione vendicatrice, spezzando così la spirale della violenza e proteggendolo dall’automatismo di una Legge puramente sanzionatoria.
Nel confessarsi colpevole, Caino può espiare il suo peccato e iniziare una nuova vita, lontana dall’Eden, in un lento e difficile processo riabilitativo che lo condurrà alla costruzione della prima città umana e della propria paternità, atti generativi aperti al futuro. Il fratricida si assume così una responsabilità etica nei confronti del prossimo, persino dello sconosciuto o del nemico, e può recuperare in sé un sentimento di fraternità non esclusivamente biologica, ma compiutamente umana.
© Riproduzione riservata «Gli Stati Generali», 13 settembre 2020