Non ci sono più angeli. E quello che vediamo
intorno, sospeso (pulviscolo o respiro)
non è altro che fuliggine, nessun segno
dal cielo, nessun messaggero divino
che ci annunci salvezza, moderata
consolazione. Siamo rimasti
senza intermediari, abbiamo esplorato
ogni abisso e mistero, sbugiardato gli inganni.
E così non sarà Gabriele, e nemmeno
Lucifero a farci paura. Piuttosto
l’assenza di angeli, il silenzio
dei pianeti: e non arriveranno
comete annunciando l’atteso,
neppure i pastori col gregge,
neppure la neve a coprire le grotte.
*
La notte che è sembianza dell’eterno,
il nulla temuto che ci avvolge, ci addorme
e zittisce: nessuno ci difende dal sonno
in cui svaniamo; e non siamo.
Non siamo più noi. Dilatati confini
di un corpo irreale, polmoni viscere
inconsapevole cuore che non controlliamo
(e sì, venisse un’ala a sfiorarci,
una piuma leggera, la mano protettiva
di un padre di una madre:
saremmo più tranquilli più forti).
Invece come morti indifesi giaciamo
nel letto, impariamo a non essere
importanti, ad avere lo stesso rilievo
del piccolo ragno che dalla sua tela
in alto sul muro osserva
indifferente il nostro simulacro,
immobile sarcofago.
*
Ed ecco l’indicibile, che senza noi
non c’è coscienza o anima,
e senza mondo intorno
il niente esiste. Ancora esisterà:
sarà un lombrico, un falco,
una stella binaria; il niente
fatto cosa, essenza e tutto.
Splendida rosa che aspetti
nel vaso il mio risveglio, quando
aprirò il balcone, tu prima
a salutarmi, e sola. Aulentissima
rosa che ti schiudi al mattino
alla mia cura all’acqua
e felice di te, così orgogliosa
ti opponi al nulla tragico,
all’inutile nulla, regale delicata
certezza.
*
Anche l’ape laboriosa combatte
una sua guerra contro l’inconsistenza,
l’ape che ronza ubbidiente al destino
sicura di servire a qualcosa, tenace
minuscola apprendista del dovere
sconosciuto; la sua danza febbrile
intorno al fiore è la stessa di sempre,
da millenni: si diverte e affatica,
illusa di un’eterna libertà (la sua aria,
il suo cielo, il suo volo), incosciente
leggera puntuta. Ma non sa
quanto poco le resta da vivere
e corteggia la rosa in allegria,
si avvicina con piccoli cerchi
posandosi infine su un petalo,
fiera di sé, vincente.
*
È luce che filtra dai vetri
socchiusi, si fa strada tra le tende,
annuncia un giorno nuovo, ancora vita,
vita insperata, gratuita come un dono,
senza trionfi e giubili: discreta invece,
quasi proposta di fidanzamento.
Va bene, preparati che usciamo,
luce del giorno. Usciamo insieme,
– se mi dai la mano; miracolo di gioia,
risveglio e guarigione. Fuori il rumore
di passi e voci, fuori gli incontri
i tradimenti; e noi tra gli altri,
tra tutti e gli altri, la luce e io.
Mio corpo ritrovato, mia sola
realtà. Per poco, forse,
come la rosa o l’ape,
senza curarci dell’eterno.
In  Elegie del risveglio, Sigismundus, Ascoli Piceno 2016 e Nulla Die, Piazza Armerina 2022