EMANUELE SEVERINO, IL NULLA E LA POESIA – BUR, MILANO 2005
Due grandi pensatori si interrogano, a duecento anni di distanza l’uno dall’altro, sul “nulla”: il primo con la tentazione e il desiderio di naufragarvici dentro, il secondo per negarlo teoricamente ed eticamente. Emanuele Severino, polemico assertore dell’eternità del tutto, e strenuo accusatore del nichilismo come forma mentis del pensiero occidentale, ha il grande merito di rivalutare, in questo suo documentatissimo volume, Giacomo Leopardi come profondo e originale filosofo, oltreché eccelso poeta. E lo fa scandagliando a fondo sia lo Zibaldone sia l’ epistolario, e mettendoli a confronto tra di loro, con la produzione poetica e con le Operette Morali. Sappiamo che fin dall’adolescenza Leopardi aveva studiato e meditato tutto lo scibile greco e latino, dai Presocratici in poi, ed era convinto anche della necessità di misurarsi con le scienze e la cultura contemporanea. Già nel 1821 poteva quindi scrivere che “il principio delle cose, e di Dio stesso, è il nulla”, basandosi non solo sulla sua tormentata sensibilità, ma soprattutto sulle sue documentate ricerche. Per lui era ovvio dedurre che sia il pensare alla nullità delle cose sia “la cognizione della nostra miseria” fossero radice e causa dell’infelicità umana. Meglio quindi non essere che essere, meglio l’ignoranza che la sapienza, più felici gli animali, i bambini e gli ignoranti che l’uomo colto. Unica consolazione può essere data allora dall’immaginazione e dalle illusioni, soprattutto nella loro forma più alta: la poesia, capace di “fingere” profondissima quiete, di perdersi nell’indeterminatezza dell’infinito. Dopo aver indagato alcuni termini chiave del pensiero leopardiano (il piacere, la ragione, la noia, la verità, la natura…), Severino offre al lettore una guida sapiente alla poesia eterna del recanatese, con due interpretazioni di A se stesso e La ginestra, e conclude definendo Leopardi epigono e precursore insieme di ogni nichilismo passato e futuro.
IBS, 11 settembre 2013