FERDINANDO TARTAGLIA, ERETICO “VITANDO”

Ferdinando Tartaglia (Parma, 1916-Firenze 1988), prete, teologo, saggista e poeta, è stato uno dei più singolari protagonisti del pensiero religioso contemporaneo. Ordinato sacerdote nel 1939, studioso e traduttore di testi spirituali e mistici, fondò nel 1942 una comunità religiosa, presto sciolta dalle autorità ecclesiastiche perché ritenuta troppo critica nei riguardi della Chiesa; collaborò quindi a Firenze con Aldo Capitini nei Centri di orientamento sociale.

Nel 1944 gli venne proibita la celebrazione della messa, nel 1945 gli fu interdetto l’abito ecclesiastico e nel 1946 venne colpito dalla scomunica di terzo grado (la più grave in ambito cattolico, che lo definiva come vitando, da evitare fisicamente, espellendolo in pratica dalla collettività dei credenti) per aver commemorato lo scomunicato ex-prete Ernesto Bonaiuti. Così si difese in quell’occasione: “Se Buonaiuti fu prete e credette nella missione e nel destino della Chiesa, anch’io. Se Buonaiuti cercò di trasmettere alla Chiesa la volontà del mutamento e aprire uno spiraglio in quell’abside morta, anch’io. Se Buonaiuti, deluso dalla mancata risposta della Chiesa, tentò d’incrinare la grande cupola cattolica, anch’io. Se Buonaiuti fu respinto, allontanato dalla comunità dei fratelli, anch’io, presto!”.

Le accuse che gli erano valse la scomunica (revocatagli solo nel 1987, un anno prima della morte) erano state la disobbedienza, la diffusione di dottrine false, l’eresia e il tentativo di sovvertire i fondamenti della religione. Nei quarant’anni di esilio dal cattolicesimo, Tartaglia scrisse un’enorme mole di saggi, aforismi, articoli e più di settemila poesie, in cui esponeva, con toni profeticamente roventi, la necessità di una trasformazione radicale del cristianesimo, libero da divisioni e barriere confessionali, e in grado di rinnovare lo spirito dell’umanità infiacchito spiritualmente.

Dai primi anni duemila, l’editore Adelphi si è assunto l’incarico di ristampare alcune opere di questo sacerdote visionario e rivoluzionario, poeta “pazzo di Dio”, polemista coraggioso e profondo conoscitore delle Scritture, e alcuni studiosi (Giulio Cattaneo, Sergio Quinzio, Adriano Marchetti, Marco Marchi, Roberto Saviano) hanno rivalutato e commentato i suoi scritti, vagliando l’enorme quantità di inediti lasciati in eredità alla moglie Germaine Muhlethaler, e da lei catalogati. Lo stile di scrittura di Tartaglia, appassionato e caustico, utilizza metafore abbaglianti, una sintassi contorta, un lessico volutamente straniante e obsoleto, inteso a stupire e magari irritare il lettore con il suo eccentrico sperimentalismo, risvegliandolo dal tradizionale e snervato classicismo della prosa novecentesca.

In Tesi per la fine del problema di Dio l’intenzione teologica più evidente risiede nella volontà di svincolare Dio da qualsiasi limitante attributo, compreso quello di creatore, proclamandone invece l’assoluta libertà dall’essere e dal non essere; un Dio capace di oltrepassarsi, superando se stesso nella verità del “puro dopo”, “posttrascendenza e postimmanenza”; da Dio necessitante a Dio liberante, “Dio nuovo, strutturato secondo pura antimemoria e puro futuro”, tramutato e tramutante. Concetti ostici e dirompenti, espressi in un linguaggio altrettanto difficile e impetuoso.

Ne La religione del cuore quattro brevi saggi delineano con ardore dissacratorio alcune figure fondamentali del pensiero spirituale dell’Occidente. Di Blaise Pascal e delle sue Provinciali, Tartaglia afferma: “Io non trovo il mio Dio in Pascal”, accusando il filosofo francese di scarsa carità, rigorismo farisaico, tiepidezza ideologica ed eccesso di ironia. Molto più accese sono poi le sue accuse contro l’Ordine dei Gesuiti, “né liberi né redenti… menti inchiavardate… gregari ciechi e obbedienti … Il Vangelo è libertà voi siete asservimento, il Vangelo è servizio voi siete impadronimento, il Vangelo è amore voi siete prudenza e tenace non-perdonanza, il Vangelo è superiore impotenza voi siete conato alla violenza, il Vangelo è miracolo voi siete assenza”. Altri tre interventi del volume meritoriamente riproposto da Adelphi nel 2008 sono dedicati a Malebranche, Newman e Gabriel Marcel. Riguardo a quest’ultimo, esponente dell’esistenzialismo cattolico francese tra le due guerre, Tartaglia pronuncia un severo e acuto giudizio di disapprovazione filosofica, accusandolo di un “esangue teologizzare impressionistico” e di una “segreta concessione al decadentismo” che lo avvicina pericolosamente a un irrazionalismo intuizionista “conservatore, a servizio dell’ordine costituito”.

Ma è nella lingua delle sue poesie, dura, irriguardosa, eccitata, violenta, modellata sui toscani del Duecento, che più si esprime l’azzardo radicale e infuocato del prete “vitando”. In un ritmo rapido, con irriverenza e sarcasmo antidevozionali, esibisce una verticalità di pensiero esclusivo ed eccentrico. Recupera gli abbandoni estatici della mistica medievale declamando ossessivamente le argomentazioni teologiche che lo hanno condannato non solo all’esclusione dalla Chiesa, ma anche a un esilio culturale non ancora superato:

“Quando io dico ‘Oltre Dio’ / quando io grido ‘Dopo Dio’ / come vorrei essere capito / come vorrei essere capito. / Ma non ò le parole. / Non sarò capito”, “E quante cose avrei ancora da dire / prima di andare a la casa dei morti. / Mi chiudono bocca le sature sorti. / Tacere. Tacere. E soffrire”, “La rosa / così inutile è cosa che spaventa. / Anche la poesia: come la rosa”, “Vèstiti di nero / vèstiti a gramaglia Tartaglia. / Finché ci sarà una vita un uomo una pianta / un verme un animale che soffre in terra / un dio che soffre in cielo / come potrai vestirti tu di bianco / tu al banco di pianto tu Tartaglia?”, “Dopo il processo di Socrate / di Gesù / di Giovanna d’Arco: / Non vi vergognate ancora d’esser giudici?”, “Io non sono demiurgo. / Io non sono teurgo. / Io non sono ungitore di passato. / Io sono ungitore di futuro. / Io sono futurgo”, “Le cose morte durano in eterno / le cose vive subito muoiono serve”, “Io vivo ne le sagrestie. / Qui tutto è nientità / Tutto è mistero”, “Satana scese in terra e da mansarda / di parigi inventò cinema e affini. / A l’uomo disse: non pensare, guarda! / così in pugno vi avrò tutti: cretini”, “Quando sono dolore, io sono Dio. / Dio non è altro che dolore, Dio. / Quanto più Dio e tanto più dolore / e il dolor di dolore è Dio di Dio”, “Se voglio bene al ragno / devo lasciargli mangiare la mosca. / Se voglio bene alla mosca / non devo lasciarla mangiare dal ragno. / Com’è difficile o sultano! / tu provvidente signore / com’è impossibile amare tutti / in questa cosca d’orrore”.

Di quest’uomo dal “nome di re e dal cognome di buffone” e del suo “intelligentissimo delirio poetico e filosofico” Roberto Saviano ha scritto: “Il sogno di Tartaglia di liberare l’essere umano dal vincolo del progetto, dalla traccia, della tradizione e dal dogma sembra raccogliere in sé un lungo percorso attraversato dalle orme dei ribelli trecenteschi, dagli eretici del cinquecento, dai catari, dai filosofi arsi vivi, un percorso che innesca la sua voce attraverso Rilke, i passi di Cervantes e le parole di Errico Malatesta…  Ferdinando Tartaglia l’eretico, l’agitatore, il chierico studioso, l’eremita sessuofobo, il ripudiato, il riconciliato, l’anarchico, il politico rinnovatore, il poeta sublime, l’inetto freddoloso, il satiro fastidioso, il militante romantico. Tartaglia è impensabile poterlo rubricare. Potrebbe legittimamente essere fregiato d’ogni titolo e sfregiato d’ogni insulto”.


Di Ferdinando Tartaglia
: Tre ballate, Book Editore 2000; Tesi per la fine del problema di Dio, Adelphi 2002; Poesie. Esercizi di verbo, Adelphi 2004; La religione del cuore, Adelphi 2008.

Su Ferdinando Tartaglia: Giulio Cattaneo, L’uomo della novità, Adelphi; AAVV, L’eretico Ferdinando Tartaglia, Polistampa, Firenze 2011.

 

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