Dove saremo, caro, dove saremo
quando non ci saremo
più?
In qualche pensiero che abbiamo pensato
di noi, in una carezza sospesa
a mezza mano:
e in questa attesa
di un poi, di un diverso lontano.
***
Se ti tocco i capelli
è per trattenerti nel tuo corpo,
nei tuoi confini stretti
di pelle, sotto le dita
che mi tremano.
Vorrei fermarti ancora:
in questo preciso momento,
con questo gesto che implora.
***
E’ nel tuo silenzio che mi ascolto,
nel tuo raccolto tacere; voce di allora
ricomposta a memoria. E’ nel tuo non esserci
che io ci sono; e sfogo i miei minuti,
i mesi, e prego che tu sia – ancora,
e ancora – in qualche luogo, e sappia
pronunciare il mio nome, ripeta a chissà chi
la nostra storia, e chissà come.
***
Una cosa mi avevi promesso:
che ci avresti difese anche dopo.
Che saremmo rimaste lo scopo
di ogni tuo pensiero inespresso
e celeste, di qualsiasi preghiera.
Invece, quanto buio e silenzio, la sera.
***
Dire a loro che non c’eri più,
che non ti avrebbero più rivisto,
questo è stato terribile. Non solo il tuo
già temuto non vivere, non essere
visibile: che al tuo nome chiamato rispondesse
il silenzio. Sapevamo che sarebbe successo;
non l’ adesso, il dove e come.
Ma dirlo, spiegarlo, dare un senso
al dolore. La più grande incapace
di muoversi, e la piccola
«lo portiamo da un bravo dottore».
***
Sei venuto ieri sera a trovare le bambine
e le hai viste così tanto cresciute,
senza te così tanto cresciute che una
è quasi donna. E allora cerca nei loro sonni
di riscoprirle, recuperando compleanni
e natali, le canzoni che non hai ascoltato.
Assomigliano sempre di più ai loro nomi,
che insieme abbiamo scelto
(la prima fatta d’aria, l’altra di selva):
hanno il tuo modo di sbattere gli occhi
di corrugare la fronte. Guardale
dalla porta come facevamo prima,
attenti a non svegliarle. Entra nei sogni
che hanno, e poi rimani lì,
nel loro respiro che non se ne accorge.
***
Liberi dalla terra e da Dio,
dove non c’è nuvola o vapore
e l’aria è aria solo perché vuota
e la tua voce è quella di mia madre
morta, ed è la mia: dove saremo
per sempre, mi hai promesso, senza
riconoscerci e sapere di noi; senza toccarci
le mani che non avremo più. Privi di memoria
delle nostre parole, privi di storia, in una ruota
di tempo non tempo; l’ adesso
sarà ieri: sarà dopodomani.
***
Buongiorno – mia essenzialità.
Mia notte fatta luce,
voce che mi traduce.
E densità.
Con te (per te), ritorno.
***
L’arte di non trattenere è da imparare,
come quella di stare zitti, e soli:
quella di ricordare i minuti buoni,
le buone parole – senza volerle possedere
per sempre. L’arte di accontentarsi
di poco amore, di vivere l’assenza:
è da imparare.
Se un debole fuoco può bastare alla notte,
il silenzio deve farsi presenza.
***
Ti intuivo nel buio
della camera sterile:
la mascherina i guanti
e te già persa nel sonno più duro,
pelle squamata labbra arse,
capelli che stentavano a spuntare;
ti pulivo, ti incremavo le piaghe
come a Cristo Maria per mantenerti viva.
Picchiavo il muro, la porta
se mi chiamavi mamma
dicendomi di non andare via,
e io a te lo stesso, come fossimo
un’eco, mia mamma mia bambina,
bellissima e cattiva che mi sei morta.
In Un diverso lontano, Manni , Lecce 2003