DAVID FOSTER WALLACE, CONSIDERA L’ARAGOSTA – EINAUDI, TORINO 2015 (ebook)
L’ebook Considera l’aragosta, pubblicato da Einaudi qualche anno fa, offre ai lettori unicamente il saggio omonimo, un lungo articolo scritto da David Foster Wallace nel 2004, e non tutti gli interventi antologizzati nel volume comprensivo uscito in Italia nel 2006. Eppure, questo pezzo basta da solo a dare l’idea di quale fosse l’intelligenza critica, l’ironia, la sensibilità e la preparazione culturale di Wallace, autore di culto americano, nato nel 1962 e morto suicida nel 2008, «il più fine ritrattista dell’America contemporanea… una penna dotata di un’intelligenza e di una sensibilità inarrivabili… geniale , capace di innovare e reinventare tutte le forme con le quali si è cimentato, dal romanzo al racconto, al saggio», come viene definito in appendice.
Lo scrittore era stato invitato dalla rivista culinaria Gourmet a partecipare e a redigere un reportage sul Festival dell’aragosta («immenso, pungente ed estremamente ben pubblicizzato») organizzato ogni anno a fine luglio nel Maine, regione che basa la sua economia sul turismo e, appunto, sulla pesca e la lavorazione industriale delle aragoste. Il sarcasmo, ma anche l’irritazione beffarda verso questa manifestazione di massa, risultano evidenti già dalle prime battute dello scritto: le centomila persone che l’affollano, gaudenti e affamate, vengono intrattenute da concorsi di bellezza, concerti musicali, gare podistiche e di cucina amatoriale, giostre e giochi vari, ammassate nei numerosissimi stand chiassosi e scarsamente puliti, ma soprattutto nel «tendone-ristorante, dove sono consumati qualcosa come più di undicimila chili di aragosta del Maine appena pescata, cotti nella “Pentola per aragoste più grande del mondo”… Qui vengono serviti anche panini all’aragosta, involtini di aragosta, sauté di aragosta, insalata di aragosta, vellutata di aragosta, ravioli all’aragosta e fagottini fritti all’aragosta… Ci sono magliette con l’aragosta e statuine caricaturali a forma di aragosta e aragoste gonfiabili con cui giocare in piscina e cappelli a forma di aragosta con grosse chele scarlatte che ballonzolano su molle».
La vittima sacrificale viene descritta analiticamente da Wallace dal punto di vista scientifico-tassonomico, (« è un crostaceo marino della famiglia Homaridae»), alimentare («la polpa di aragosta ha meno calorie, meno colesterolo e meno grassi saturi del pollo»), culinario («portata à la carte può essere cotta al forno, sulla fiamma, al vapore, alla griglia, rosolata, saltata in padella o al microonde»), etimologico-linguistico, storico-paleontologico, e della trasformazione nella produzione commerciale e nei consumi. Se risulta evidente il fine promozionale ed economico del Festival, altrettanto chiaro è il suo intento pubblicitario di contrastare l’idea che l’aragosta sia una pietanza di lusso o malsana o costosa, “democratizzandone” e giustificandone persino culturalmente l’utilizzo. Infatti questo festival gastronomico, tanto famoso e reclamizzato, ha conosciuto negli ultimi anni forti contestazioni, non solo da parte degli ecologisti e degli animalisti, ma anche negli ambienti medici e scientifici.
David Foster Wallace, nel definirsi non tanto «petulante e moraleggiante», quanto «confuso», si sofferma in particolare sull’agonia del crostaceo, che come si sa viene generalmente bollito vivo per garantirne la freschezza: «Vi basta una grossa pentola con coperchio, che riempite fino circa a metà di acqua (il criterio generale è due litri e mezzo d’acqua per ogni aragosta). L’ideale è l’acqua marina, oppure potete aggiungere due cucchiai di sale per ogni litro di acqua del rubinetto».
Di fronte alla sofferenza dell’animale, che nei quaranta minuti della cottura si dibatte ferocemente, aggrappandosi con le chele agli orli della pentola, e tentando di saltarne fuori, Wallace si chiede: «È giusto bollire una creatura viva e senziente solo per il piacere delle nostre papille gustative?». Basta sapere che il sistema nervoso di un’aragosta è decentralizzato, che non ha un cervello ed è priva di corteccia cerebrale, per assolverci da qualsiasi scrupolo e senso di colpa, «dal momento che il dolore è un’esperienza mentale totalmente soggettiva, e non abbiamo accesso diretto al dolore di niente e nessuno a parte il nostro?». Wallace lo domanda a se stesso e a noi, spingendoci a riflettere su molte cose a cui forse non pensiamo abbastanza, pronti ad assolverci da abitudini inammissibili solo perché generalizzate e condivise dai più.
© Riproduzione riservata https://www.sololibri.net/Considera-l-aragosta-Foster-Wallace.html 8 febbraio 2018