H.G. WELLS, NEL PAESE DEI CIECHI – ADELPHI, MILANO 2008
“Tra le più selvagge solitudini delle Ande ecuadoriane, giace, separata dal mondo degli uomini, quella misteriosa vallata montana, il Paese dei Ciechi”. Pochi termini (solitudini, selvagge, misteriosa, montana) immettono il lettore nell’atmosfera straniante di questo racconto scritto nel 1904 da H.G.Wells (1866-1946), tra i più noti e prolifici scrittori di fantascienza della prima metà del ’900 (La macchina del tempo, La guerra dei mondi, L’uomo invisibile), che seppe delineare nuovi orizzonti immaginativi con pungente ironia critica sulla società e la politica della sua epoca.
Il protagonista de Nel paese dei ciechi, “uomo acuto e intraprendente”, scalatore esperto di nome Nuñez e di professione guida turistica, precipita accidentalmente da una cima rocciosa e innevata in una valle dall’aspetto idilliaco, che “aveva tutto ciò che un cuore umano può desiderare: acqua dolce, pascoli, clima costante, declivi di fertile suolo bruno con macchie di arbusti che davano un frutto eccellente, e su un lato grandi boschi scoscesi di pini che trattenevano le valanghe”. Osservando più acutamente il paesino situato all’interno della verde conca, si accorge stupito che case e strade sono dipinte e tracciate in maniera informe e arbitraria, quasi gli abitanti avessero la vista offuscata. Avvicinatosi ad alcuni di loro scruta “le loro palpebre chiuse e incavate, come se, sotto, i globi oculari fossero disseccati e svaniti”. Gli torna alla mente una leggenda centenaria riguardante un paese di ciechi, la cui popolazione era stata colpita da un morbo sconosciuto o da una malattia genetica che la privava della capacità di vedere, probabilmente a causa di una maledizione per una colpa o trasgressione commessa collettivamente. Introdotto nella comunità, tra paura e diffidenza reciproca, accarezza l’idea di poter approfittare della propria superiorità di vedente rispetto ai suoi ospiti, secondo il noto proverbio: “In terra di ciechi il monocolo è re”, che continua a ripetere a sé stesso come un mantra. In realtà, la sua presunta supremazia è presto sconfitta dall’eccellenza sensoriale degli indigeni, che sanno muoversi nel loro ambiente con più naturalezza e ingegnosità.
Da aspirante dominatore, Nuñez diventa ostaggio degli abitanti, e i suoi racconti del mondo esterno e delle bellezze di una natura che essi non possono osservare, vengono considerati stravaganze deliranti di un pazzo. Nemmeno l’amore per una giovane del luogo riesce a farlo accettare dalla cittadinanza, che gli propone l’unica possibile “normalizzazione”, e il solo adeguamento sociale possibile, attraverso l’asportazione dei bulbi oculari, “questi corpi irritanti” che lo rendono folle e di “rango inferiore”. Quasi convinto a farsi operare al fine di poter sposare la bella Medina, in un’improvvisa reviviscenza dello stato privilegiato di vedente, Nuñez decide di scappare, inerpicandosi faticosamente attraverso i pendii montani da cui era precipitato, per addormentarsi serenamente (per sempre o fino a una nuova alba di salvezza? H.G.Wells non lo rivela): “giaceva immobile, sorridendo come fosse semplicemente soddisfatto di essere scampato dalla valle dei Ciechi, dove aveva creduto di essere re. Il bagliore del tramonto si spense, e scese la notte, ed egli giacque contento, pacificato, sotto le fredde stelle”.
Nella postfazione al piccolo volume adelphiano, Sandro Modeo dà conto delle tre principali interpretazioni che i critici hanno offerto di questo famoso racconto: “quello storico-antropologico (il rapporto tra la «civiltà» dei coloni spagnoli e la presunta «barbarie» dei nativi, coi ciechi a incarnare pregi e limiti del relativismo culturale); quello specificamente politico (sul carattere utopico, nel bene e nel male, di ogni comunità autarchica e isolazionista); e quello (più azzardato) delle irradiazioni metaforiche, che può portare a leggere nella vista di Nuñez un correlato dell’immaginazione artistico-poetica (non a caso in parte compresa solo dalla donna che lo ama) e nel villaggio l’ottusità anti-intellettualistica delle società borghesi”. Anche se la morale pare essere di un’evidenza quasi banale: coloro che si pretendono “monoculi in terra caecorum” sono destinati al dileggio, alla persecuzione e nel migliore dei casi all’esilio. Nuñez pertanto, nella sua presunzione di superiorità e dominio, è costretto ad ammettere la propria cocente sconfitta.
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28 febbraio 2019