STEFAN ZWEIG
VENTIQUATTR’ORE NELLA VITA DI UNA DONNA – SUGARCO, MILANO 1991
NOVELLA DEGLI SCACCHI – GARZANTI, MILANO 1991
Due romanzi brevi, o racconti lunghi che dir si voglia, di Stefan Zweig, sono stati recentemente pubblicati da SugarCo e Garzanti: 24 ore nella vita di una donna e Novella degli scacchi. Argomento centrale di entrambi è la passione divorante per il gioco che può attanagliare la mente umana: gioco come azzardo, cioè sfida al destino e a se stessi, e gioco come affinamento della spiritualità. La prima novella è la storia, narrata dalla protagonista a un occasionale confidente trent’anni dopo la sua conclusione, di un incontro tra una intelligente e ricca vedova, che cerca di distrarre viaggiando la sua «irreversibile tristezza», e un uomo divorato dal tarlo febbrile del gioco al casinò. A Montecarlo la signora viene attratta dalla vita di un giovane che sembra giocarsi alla roulette non solo gli ultimi risparmi, ma la sua stessa esistenza. Ipnotizzata dall’eccitazione di lui, ma soprattutto dall’irrequietezza e dal tremito disperato delle sue mani, lo segue fuori dal casinò e in albergo, nell’ansia di salvarlo dal suicidio e di redimerlo dalla follia del gioco; superando ogni pudore e remora dovuta alla sua educazione gli si concede, vivendo con lui l’esaltazione furiosa di una notte d’amore. «Non avrei mai immaginato, senza quell’incontro terribile, con quale ardore, con quale accanimento e irrefrenabile avidità un uomo spacciato, perduto, beva ogni goccia rossa di vita».
La notte passata insieme trasforma profondamente la donna, inducendola a rischiare tutto per seguire la sorte del suo nuovo amico: gli consegna dei soldi perché paghi i suoi debiti, lo costringe quasi a partire per porre fine alla sua inclinazione malata, decide essa stessa di seguirlo, giocandosi la sua reputazione e un tranquillo e grigio destino di vedova benestante. Ma il ragazzo la inganna, e col denaro avuto in dono torna al casinò e riprende a giocare: all’intervento stupito ma deciso di lei, la caccia umiliandola e sbeffeggiandola davanti a tutti. Tuttavia, «si sopravvive anche a ore così dolorose: il sangue continua a pulsare, non si muore, non si cade come un albero colpito da un fulmine»: la donna recupera la sua dignità schernita, ritorna nei binari consolidati di una routine disprezzata ma comoda, perché «alla fine, chi vince è il tempo, e la vecchiaia esercita sui sentimenti il singolare potere di invalidarli». Rinnegate le 24 ore che stavano per cambiare (in meglio? in peggio?) il corso della sua vita, lei che per amore avrebbe avuto il coraggio di rovinarsi, accetta l’umiliazione di una sconfitta, continuando a coltivare il rimpianto di ciò che avrebbe potuto essere.
Il secondo racconto Novella degli scacchi può essere considerato un po’ il testamento spirituale di Zweig: fu infatti steso nel ’41, pochi mesi prima che lo scrittore austriaco si suicidasse in Brasile insieme alla moglie. E’ la storia di una serie di partite a scacchi giocate durante una traversata marittima nell’Oceano tra Mirko Czentovic, scacchista di fama mondiale, e il dottor B., avvocato austriaco perseguitato dalla Gestapo. E’ chiaro fin da principio da che parte stia lo scrittore Zweig (esteta, pacifista, innamorato della cultura e della spiritualità europea al punto di autoesiliarsi per protesta in Sudamerica allo scoppio della seconda guerra mondiale). Bersaglio della sua polemica è il campione russo Czentovic, ma si tratta di un bersaglio alquanto sproporzionato, di un mulino a vento contro cui non varrebbe nemmeno la pena di combattere: Czentovic è infatti «un contadinotto ventunenne del Banato… un taciturno, ottuso ragazzo dalla fronte quadra… incapace di scrivere una frase in nessuna lingua senza errori di ortografia… di una ignoranza parimenti universale in tutti i campi».
A questo avversario, presuntuoso perché indifeso, goffo perché poco intelligente, fornito di un’unica mostruosa abilità – quella di giocare, vincendo, a scacchi – Zweig oppone la cultura e la sensibilità del dottor B., già amministratore dei fondi della famiglia imperiale austriaca.
Arrestato dai nazionalisti, torturato in un isolamento feroce e totale, era riuscito a salvarsi dalla pazzia grazie alla lettura di un manuale sugli scacchi, e alla simulazione mentale di centinaia di partite: «Appena il mio Io bianco aveva fatto una mossa, il mio Io nero si gettava febbrilmente all’attacco; appena una partita era terminata, subito sfidavo me stesso alla prossima, perché ogni volta uno dei due Io-giocatori era vinto dall’altro e chiedeva la rivincita…Era un’ossessione da cui non potevo difendermi; da mattina a sera non pensavo ad altro che ad alfieri e pedoni e torre e re…Il piacere del gioco era diventato vizio, il vizio necessità, una mania, una rabbia frenetica…appena il gioco incominciava, una forza selvaggia m’invadeva: correvo su e giù coi pugni stretti, e come attraverso una rossa nebbia sentivo ogni tanto la mia voce, che gridava a se stessa, rauca e cattiva, “scacco” o “matto!”».
La partita che Czentovic conduce contro il dottor B. è in realtà una partita tra due culture, tra due modi di concepire la vita e di affrontare il mondo: quella, rozza ma vincente, ottusa ma di successo, del campione Czentovic, e quella raffinata ma sconfitta del dottor B.. La prima simboleggia la cultura nazista, violenta e arrogante, la seconda quella austriaca, o più in generale Mitteleuropea. Questa Novella degli scacchi è, quindi una «fiaba fortemente metaforica», come ben arguisce nella sua originale prefazione Daniele Del Giudice, in cui gli scacchi sono puro pretesto, e il delirio finale del dottor B., in grado di condurre simultaneamente nel pensiero diverse partite, ma incapace di portarne a termine una, quella decisiva, è il simbolo della resa di un continente alla brutalità pianificata di Hitler, della resa di Zweig di fronte al crollo dei suoi ideali.
«L’Arena», 1 agosto 1991